Uno spettro si aggira per l’Italia della resurrezione: lo Stato Imprenditore

Articolo di Pietro Bullian: MSc in Economics presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 

In avvio della Fase (1.)2, i prescelti dal governo hanno tracciato la rotta da intraprendere per la ricostruzione dell’economia nazionale falcidiata dal lockdown: la prospettiva, fin qui, non sembra incoraggiante.

In un’intervista a La Repubblica del 26 aprile, la consulente del governo Mariana Mazzucato ha auspicato la transizione verso “uno Stato imprenditore che decida dove investire”. L’economista espone l’obiettivo ambizioso di attuare la rivoluzione della green economy, così come quello di colmare il digital divide nella popolazione e tra le varie aree del paese. Tutti obiettivi meritevoli, ma – come ben sappiamo – la via ad ogni forma di Stato coercitivo ed autoritario è da sempre lastricata delle migliori intenzioni.

Cerchiamo dunque di capire quali siano i passaggi più controversi di questo piano – e perché siano preoccupanti e allarmanti per il mondo delle imprese in questo grande momento di difficoltà.

L’intervista inizia spiegando “l’approccio ‘mission oriented’, cioè […] l’importanza di indirizzare gli investimenti pubblici e privati verso le aree che possano catalizzare innovazioni a livello intersettoriale […]. Si tratta di avere uno Stato con un ruolo di catalizzatore con l’obiettivo di intercettare e indirizzare gli investimenti.” L’obiettivo è lodevole, ma muove dal presupposto che le “aree che possano catalizzare innovazioni a livello intersettoriale” verranno identificate correttamente (e per primo) dallo Stato. In altre parole, si sottintende che lo Stato sappia, meglio (e in anticipo) rispetto agli imprenditori, dove vale la pena investire e dove si genererà più innovazione nel futuro. Una supposizione piuttosto audace.

Nel prosieguo dell’intervista – per fortuna – la consulente del governo non parla di distinzioni nel garantire quegli aiuti purtroppo vitali alle imprese in un periodo di emergenza senza precedenti come questo, ma instilla comunque il dubbio che le imprese saranno poi debitrici morali dello Stato, specificando: “per ora le si aiuta, mettendo fra le clausole che rispetteranno alcune regole, per esempio su come e cosa investire”. Dichiarazione preoccupante: pare, infatti, si vogliano “ricattare” le imprese che riceveranno aiuti, le quali dovranno impegnarsi in cambio a effettuare investimenti nei modi e nelle forme previste dallo Stato.

Ma quali sono questi modi e queste forme? L’economista del governo chiarisce che “il tavolo delle trattative per le condizionalità dovrà avere elementi diversi, a seconda delle specificità settoriali e del tipo di azienda”. La vicenda, a questo punto, si complica ulteriormente. La professoressa Mazzucato pare avanzare l’ipotesi che funzionari del governo (non meglio identificati) saranno chiamati a vagliare una ad una le proposte delle aziende, per poi stabilire – sempre con l’audace assunzione che la completezza informativa risieda nelle mani dei funzionari di Stato – la validità dei loro business plan (parliamo di quasi 4 milioni e mezzo di imprese attive in Italia). Uno scenario a dir poco preoccupante, che obbligherebbe tra l’altro il mondo delle imprese italiane, già in grande difficoltà, a sborsare milioni di euro in consulenze per la redazione delle proposte da presentare ai funzionari del governo.

Ironicamente, negli stessi giorni, il commissario per la gestione dell’emergenza Coronavirus, Domenico Arcuri, ha fornito la prima prova della potenza di fuoco dello Stato Imprenditore, bloccando de facto il mercato italiano delle mascherine in un solo giorno. Le successive uscite del commissario sul tema hanno dimostrato il livello di considerazione dei meccanismi più basilari del mercato e della formazione dei prezzi; meccanismi che, apparentemente, il commissario non ritiene importanti, dal momento che ha in seguito specificato come – a suo avviso – “il mercato per questo tipo di beni non dovrebbe esistere”. Non si capisce perché, a questo punto, debba esistere un mercato per il pane, per l’acqua potabile, per la pasta e per una serie di altri beni cosiddetti “essenziali” – che tuttavia hanno, piaccia o meno al commissario, dei prezzi di mercato.

Il prezzo calmierato di vendita imposto, infatti, è stato considerato con riferimento al costo di produzione (marginale?) pre-emergenza, che non includeva tutti i costi di riconversione e ampliamento della produzione che le imprese impegnate nello sforzo di fornire milioni di mascherine al giorno hanno dovuto sostenere in questi mesi. Inoltre, l’immediata applicazione del calmiere non ha tenuto conto dei tempi di approvvigionamento; molti commercianti, infatti, hanno pagato le mascherine di cui si sono riforniti (sul mercato) molto più di quanto non dovrebbero ora incassare per la vendita. Il commissario si è premurato di specificare di aver “fissato il prezzo massimo di vendita, non un prezzo massimo di acquisto”, non chiarendo in un primo momento chi avrebbe dovuto sopportare la perdita data dalla differenza dei due prezzi, ovvero come sarebbe stata corretta la distorsione del mercato causata dall’ordinanza stessa.

Per usare un eufemismo, la prima prova dello Stato Imprenditore, che indirizza il mercato al servizio del bene comune, poteva andare meglio.

Tuttavia, al di là di facili ironie, ciò che tutti questi ragionamenti tradiscono è una base ideologica che non tiene in considerazione le più basilari dinamiche dell’economia di mercato in cui viviamo.

Sia per quanto riguarda il mercato delle mascherine, sia per quanto riguarda il mercato degli investimenti, l’assunzione a priori è che lo Stato conosca meglio del mercato (ovvero di tutti noi, produttori e consumatori) le dinamiche di formazione dei prezzi. In altre parole: che lo Stato sia in grado di valutare meglio del consumatore quanto sia opportuno pagare per un bene di consumo; che lo Stato sia altresì in grado di valutare meglio di un investitore quale sia il progetto di investimento migliore; infine, che lo Stato sia in grado di valutare meglio di un’impresa come poter rendere più efficiente il proprio processo produttivo. Questo “Stato che tutto sa e tutto vede” sarebbe, in altre parole, un pianificatore centrale.

I prezzi – lo si vede, ad esempio, nel mercato degli articoli firmati – altro non rappresentano che il valore che i soggetti (i consumatori) attribuiscono a degli oggetti. Questo valore si crea spontaneamente per tutti i beni in natura – inclusi i beni illegali, che, pur al di fuori di ogni regola e legge, sviluppano dei prezzi propri. Distruggere il meccanismo di formazione dei prezzi vuol dire attribuirsi la capacità di “indovinare” le preferenze di tutti gli agenti economici in ogni dato momento. Qualcuno pensa davvero che sia sensato? Ha mai funzionato storicamente?

Si tratta di un’impostazione pericolosa, intrinsecamente autoritaria, perché ha il fine ultimo di sostituire le preferenze degli individui con delle “preferenze di Stato” (ovverosia le preferenze dei suoi funzionari) nella sicura idea che siano necessariamente migliori e più funzionali al benessere collettivo. Lo stesso principio, mutatis mutandis, è stato applicato immancabilmente da tutti i regimi autoritari della storia, per tante e diverse vie, tutte lastricate di buone intenzioni che avrebbero dovuto (temporaneamente) sacrificare gli individui sull’altare del “bene comune”.

Nessuno pensa che le idee dei consulenti del governo si spingano a tanto. Tuttavia, è giusto mettere in guardia dalle buone intenzioni che, se mal indirizzate, possono avere conseguenze imprevedibili sulle nostre libertà ed il nostro benessere.

BASTA soldi pubblici per Alitalia (Firma la Petizione)

Di seguito il testo della petizione lanciata da Andrea Giuricin su Change.org

Il Governo si appresta a sprecare altri miliardi di euro per Alitalia.

Nel decreto legge per le misure economiche per il #Coronavirus, la compagnia aerea sta per ricevere altri soldi pubblici. Centinaia e centinaia di milioni di euro ancora una volta!

Nell’articolo 79 del decreto si prevedono altri 500 milioni di euro per #ALITALIA.

Ma il Governo non si limita a mettere altri soldi pubblici in #Alitalia. Crea anche una #BadCO (una cattiva compagnia) per non ripagare contribuenti, fornitori e creditori.

Stiamo parlando di altri 3 miliardi circa con questa manovra!

Ma Alitalia ha già sprecato quasi 10 miliardi di euro pubblici negli ultimi 12 anni.

Paradossalmente con questi soldi, lo Stato Italiano si sarebbe potuto comprare: AirFrance-KLM, Lufthansa, SAS, Finnair, Norwegian e Turkish Airlines. Tutte quante!

Ma forse è bene ricordare questo: Questi soldi nostri potevano essere spesi in maniera migliore (magari per creare qualche terapia intensiva in più) o utili per abbassare il debito pubblico italiano.

E invece dopo 10 miliardi buttati, Alitalia ora trasporta solo l’8 per cento dei passeggeri da e per l’Italia, non certo una compagnia strategica per la connessione dell’Italia al mondo.

E’ ora di dire basta a questo spreco di soldi nostri.

Le risorse sono limitate e ce ne accorgeremo sempre di più in questo momento di crisi economica dovuta al Covid19.

Gentile Presidente Conte, non sprechiamo altri soldi dei contribuenti per Alitalia!

#AlitaliaBASTA

Firma anche tu la Petizione su Change.org

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clicca qui per scaricare il Focus Paper di Andrea Giuricin “Alitalia: la storia infinita”

Coronavirus. Criticare il Governo non vuol dire essere “sciacalli”

Questi giorni che stanno mettendo alla prova il nostro Paese ci dicono tante cose.  Ad oggi si contano 528 casi (tra cui vi sarebbero anche dei bambini) e 14 vittime, quarantene imposte nei due focolai di Lombardia e Veneto; scuole, università, cinema e altri luoghi di aggregazione chiusi; orari ridotti per gli esercizi commerciali, città come Milano semi-vuote. Di fronte a questa situazione, che non può che suscitare preoccupazione ed uno stato d’ansia generale (ma che è ben lungi da diventare una “psicosi”, termine che troppo spesso viene usato impropriamente) è perfettamente normale che più di qualche voce si alzi contro il nostro Governo.

Perché, effettivamente, ai più risulta incomprensibile come sia potuto accadere che, da pochi casi circoscritti, si sia arrivati ad essere il primo Paese in Europa per numero di contagi ed i terzi al Mondo. Che cosa non si è fatto? Perché non lo si è fatto prima? Tutte domande legittime.

Il Governo italiano ha chiesto alle forze politiche di condividere i provvedimenti presi per arginare l’epidemia di #Coronavirus, motivando questa richiesta con il fatto che l’interesse dei cittadini dovesse superare ogni polemica e divisione. Ma è assai difficile che questi appelli, pelosi e tardivi, all’“unità nazionale” ed al “bene comune” possano essere accolti, soprattutto se si tiene conto di una serie di debolezze del nostro sistema, che ovviamente preesistevano allo scoppio dell’epidemia, ma che con questa si sono acuite, soprattutto alla luce della cattiva gestione della comunicazione, sia interna che estera, messa in campo dal Governo nei giorni della crisi. 

In questo sentiamo che sia giusto sostenere, come ha ben fatto notare Nicola Porrosulla sua celebre “Zuppa” che “criticare il governo non vuol dire essere degli sciacalli”. Criticare l’azione di un Governo è sempre “cosa buona e giusta”, perché, ottimisticamente parlando, lo si può costringere a prestare più attenzione e a conformare il suo atteggiamento a dei canoni più razionali, oppure, aiutarlo a prendere atto della sua inadeguatezza ed invitarlo a farsi da parte, per lasciare il posto a persone capaci di proporre soluzioni più ponderate.

Perché, al di là degli appelli, è ormai chiaro a tutti che il Governo abbia “peccato” di negligenza e supponenza oltre ai limiti del tollerabile. Una situazione che dovrebbe essere come minimo “scomoda” per tutti coloro che, a differenza nostra, vedono il Governo come l’unica ancora di salvezza per preservare l’ordine sociale ed il quieto vivere civile: molto spesso, i Governi sono i primi responsabili degli scossoni arrecati allo stesso ordine sociale ed allo stesso quieto vivere civile che si vuole preservare. Uno spunto su cui riflettere (se si ha voglia).

E veniamo a quali sono gli errori e le mancanzeche ha manifestato il “Governo”(e lo diciamo in quanto tale, dunque, a prescindere dal colore politico che avrebbe avuto in circostanze diverse dalle attuali), discorso che può essere allargato al resto delle Istituzioni ed ai ben noti “corpi intermedi”.

In principio fu… “il Governo ha adottato le misure più restrittive per fronteggiare la diffusione del Coronavirus”, “abbiamo bloccato i voli, siamo facendo i controlli della temperatura corporea negli aeroporti”, “l’Italia ha fatto molto di più degli altri Paesi”. Mantra ripetuti a reti unificate per giorni. 

Poi, però, sono scoppiati i focolai in Lombardia e Veneto. Qualcosa non ha funzionato, e persino l’Organizzazione mondiale della sanità(OMS) – alle cui indicazioni il Governo diceva essersi atteso “scrupolosamente” – per bocca di Walter Ricciardi, ha rimproverato all’Italia “di avere agito in maniera non efficace al virus, perché la scelta di non mettere in quarantena tutti coloro che arrivavano dalla Cina ci ha resi suscettibili a una minaccia non ancora completamente esplorata dalla “comunità scientifica”. Per di più, la sospensione dei voli dalla Cina ha creato un’illusoria parvenza di sicurezza, mentre i portatori del virus arrivavano per altre vie”. Questa è stata, in definitiva, “una scelta non scientifica”. Se un Governo non si attiene alle raccomandazioni degli organi internazionali che lui stesso si è impegnato a seguire, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

E non si è comportato meglio nemmeno nei confronti delle Regioni, Lombardia e Veneto, le quali  avevano chiesto già tempo addietro, per bocca dei loro rappresentanti, misure volte al contenimento della diffusione del virus, come quella di effettuare dei controlli sanitari approfonditi e di isolare o mettere in quarantena per almeno due settimane gli alunni che fossero stati in Cina nelle due settimane precedenti (indipendentemente che fossero cinesi o meno, è bene precisare), prima di poter rientrare nelle scuole. A questi il Governo ha risposto che erano provvedimenti “sproporzionati” e che violavano il “diritto all’istruzione”. Bene. Ora le scuole sono chiuse per tutti, con buona pace del “diritto all’istruzione”. Se prima dici che non vuoi lasciare a casa gli studenti di rientro dalla Cina, e poi fai chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado per una settimana, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

Scelte di questo tipo, come anche quelle che sono state messe in atto “di concerto” con le Regioni interessate una volta che sono scoppiati i focolai, sarebbero anche compatibili con una teoria dello “Stato Minimo” e non hanno destato particolare risentimento nella popolazione, che le accettate. Giuste, anche se con sofferenza, la loro disposizione. Ma se non vuoi fare nemmeno quello che uno “Stato Minimo” potrebbe fare, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

Non è andata meglio nemmeno alla comunità cinese, che aveva chiesto (come a Prato) di poter mettere in atto l’auto-quarantena, insieme agli spazi per farlo. Niente. Nemmeno l’Ancap ti lasciano fare in santa pace. Se non stai a sentire nemmeno quando i tuoi stessi cittadini vogliono mettersi di propria volontà in quarantena, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

Come se non bastasse, e come se la situazione lo richiedesse, abbiamo dovuto assistere anche al “battibecco fra Istituzioni”, con il Capo del Governo che prima si dice “sorpreso” dell’impennata dei contagi, scatenando l’ansia della popolazione invece di rassicurarla; poi le minacce di divulgare degli screenshot con cui si voleva dimostrare il silenzio dell’opposizione, come fosse una liceale appena mollata dal fidanzato, fino ad arrivare al Presidente della Lombardia che lascia una video-conferenza incazzato nero perché, sempre il Capo del Governo, avrebbe insinuato che la “colpa” del contagio fosse tutta delle Regioni che non avevano seguito i protocolli. Se fai i richiami all’unità ma poi giochi allo “scaricabarile”, poi non lamentarti se fioccano le critiche. 

Ora vorrebbe pure avocare a sé i “poteri straordinari”(leggi, “i pieni poteri”) delle Regioni per risolvere l’emergenza.

Come è tipico nel nostro ordinamento dello Stato, le competenze non sono mai “chiare” e predeterminate, ma si gioca sul filo dell’incertezza e della “condivisione”, tra competenze “concorrenti” ed “esclusive”, tra sussidiarietà “verticale e orizzontale” e altre “pippe”, sempre disposte di modo che comunque il Governo centrale possa mettere “becco” su tutto, perché in questo Paese si ritiene sempre che “chi sta sopra” abbia la precedenza su “chi sta sotto”, e mai il contrario. Ci voleva in effetti una bella botta di centralismo, a questo punto.

La verità è che le Regioni si sono trovate a “mettere una pezza” all’irresolutezza del Governoe che stanno rispondendo proprio in virtù dell’efficiente “organizzazione tecnica” che gli è stata concessa. Ma è molto più comodo prendersela con il personale medico (che sta facendo un lavoro egregio) o con un ospedale, adducendo che “non sono state seguite le procedure” che lo stesso Ministero della Sanità aveva emanato (e che sembra difficile i medici e i sanitari non osservassero, date le potenziali cause civili e penali in cui incorrerebbero se non seguissero i protocolli) per poi sfruttare l’emergenza allo scopo di avocare a sé i “pieni poteri”: “no al federalismo sanitario”, dicono da Roma. 

Ma, in questo Paese, quello che è straordinario diventa poi ordinario. È quindi un attacco inopportuno che viene mosso alle Regioni che hanno la sanità migliore del Paese perché, primo, il Governo mal tollera che ci sia qualcuno “più bravo” per il semplice fatto che lascia indietro gli altri (e questo non viene mai letto come uno stimolo “agli altri” per fare meglio), secondo, un attacco a due sistemi sanitari regionali che sono gli unici a lasciare un po’ di spazio di intervento alla sanità privata. Tanto più che se i rappresentanti delle due regioni incriminate chiedessero con un referendum ai propri cittadini se vogliono continuare ad avere una sanità gestita da loro oppure da Roma, la loro risposta lascerebbe ben poco margine d’interpretazione. Il Governo si dovrebbe preoccupare di assicurare il coordinamento e le risorse necessarie, far emergere dal dialogo tra amministratori locali quali sono le “best practices”; non certo di sostituirsi a due Regioni che attraverso il proprio personale sono perfettamente grado di gestire la situazione (e che lo stanno dimostrando ogni giorno), né tantomeno di pretendere di sostituirle nel momento in cui decide arbitrariamente che “non sono capaci”.

Non è andata meglio nemmeno sul fronte internazionale: tafferuglio diplomatico con la Cina per il “blocco dei voli diretti” (che poi non è servito a niente); poi, dopo lo scoppio dei focolai, è stato tutto un oscillare tra un “siamo bravissimi a fare i tamponi” e un “gli altri non li fanno”: come se nel resto d’Europa ci fossero altri Paesi in preda al Coronavirus, ma i Governi a Parigi, Londra, Madrid e Berlino se ne fottessero. Mentre la Gran Bretagna ne ha fatti più di seimila, noi siamo arrivati a quattromila, ma solo dopo che è scoppiata l’epidemia e, fino ad allora, ne erano stati fatti solo poche decine. Infine, il caso delle Mauritius, che bloccano un aereo proveniente dall’Italia e ce lo rimandano indietro. E la Farnesina muta. Poi però non lamentarti se fioccano le critiche.

L’Unione Europea, invece di cogliere l’occasione per “mettersi alla testa dell’emergenza”, è invece riuscita nel capolavoro di scomparire come le ciliegie in inverno, trincerandosi dietro le “competenze nazionali”. Not my problem. Per chi vuole portare (ancora) avanti il sogno di un’integrazione europea, questo è il momento di interrogarsi (ed intensamente, molto).

Si può dire, insomma, che al Governo non ne abbiano azzeccata una o che ne abbiano azzeccate poche senza essere additati come “sciacalli”? Finché ci sarà lalibertà di criticare il Governoper quello che fa, allora potremmo dire di vivere ancora in un contesto di libertà e di democrazia.

Dicevamo, ad oggi si contano 528 casi e 14 vittime, vittime però che sono trattate come “numeri” e minimizzandone la tragica sorte: “sono anziani con problemi medici pregressi” o “sarebbero morti comunque”. Sono, prima di tutto, P-e-r-s-o-n-e. Anche qui, i sostenitori dello “Stato forte” (ma anche, in generale, chi lo sta facendo in questi momenti) dovrebbero chiedersi se uno Stato che considera i suoi stessi cittadini come “numeri” stia davvero gettando “ponti d’oro” verso il liberismo… e poi si vuole andare in giro a cianciare di “nuovo umanesimo”. In un Paese che ha sempre più anziani, la questione dovrebbe essere trattata un po’ più seriamente.

Veniamo anche ai “corpi intermedi” che, assieme al Governo, stanno dando prova di incredibile serietà. Netta la distanza che esiste tra politici ed il mondo reale. Tra le varie ospitate cui possiamo assistere in televisione, i politici, abituati ormai solo ai talk show, sono incapaci di parlare a un Paese spaventato e fragile. 

Ma anche i giornalisti ne escono male: sensazionalismo, paure indotte, titoli esagerati. da una parte, la stampa più vicina alla “destra”, tra un “ve l’avevamo detto” e l’altro, e gli appelli preoccupati affinché siano effettuati controlli su chi sbarca fino alla “sospensione di Schengen”, e quella più vicina alla “sinistra”, che se la ride sotto i baffi perché “i contagiati sono tutti italiani e non c’è un cinese” e “ora gli altri ci trattano come noi volevamo trattare i cinesi”… insomma, tra quelli additati di essere degli “sciacalli”da una parte e le “iene ridens” dall’altra, non è che ci si riesca a salvare più che dal Coronavirus. Meglio spegnere il televisore.

Su internet, nel panorama “mematico” generale, che ci tiene compagnia in questi giorni, si è avuto pure il coraggio di “tifare INPS” perché il Coronavirus colpirebbe i “vecchi”, con conseguente sollievo per il nostro sistema pensionistico. Ora, a parte il fatto che non si deve mai “tifare INPS”e che l’INPS vada privatizzato per il nostro stesso bene, data l’incapacità di gestire le nostre pensioni, gli scandali degli “assegni d’oro” lautamente elargiti e la mala gestione del suo vastissimo patrimonio immobiliare, che non viene fatto fruttare economicamente ma viene abbandonato alla “manomorta”, pensare che la dipartita di qualche decina di anziani possa risollevare la situazione del sistema pensionistico italiano è una cosa da pazzi. “Sciacalli” (veri, stavolta).

In ultima analisi, è il Governo che ha alimentato la paura, sia negli italiani che negli altri Paesi (nei confronti dell’Italia). Lo ha fatto sin da quando, con magna superbia, aveva comunicato di aver messo in sicurezza il Paese chiudendo i voli con la Cina, provvedimento (citiamo testualmente) “all’avanguardia”. Gonfiando il petto in quella occasione è come se avessero dato degli scemi a qualsiasi altro capo di Governo in Europa ed in Occidente, che non aveva adottato misure così “draconiane” (ma, a quanto pare, inefficaci). Quando poi sono scoppiati i focolai, il Governo, ancora una volta, invece di stare zitto e lavorare con umiltà, ha nuovamente gonfiato il petto e dato dello scemo e incapace a qualsiasi omologo europeo: “in Italia più contagi solo perché noi abbiamo fatto fare più controlli e tamponi”.

Ora, da un Governo con la G maiuscola, ci si aspetterebbe principalmente che, nella situazione che si è creata, rassicurasse i cittadini, perché l’ansia generale, se non si è già diffusa, almeno venga contenuta. Il Presidente della Repubblica, con dei comuni in quarantena, scuole chiuse, supermercati presi d’assalto, due Regioni in cui la vita è congelata, dovrebbe come minimo apparire in televisione e fare un discorso alla Nazione, rassicurando i cittadini sull’azione di Governo. Niente. Il programma “Chi l’ha Visto?”potrebbe farci una puntata. Il Ministro della Sanità dovrebbe rassicurare anch’egli i cittadini, garantendo che ogni misura è stata presa, spiegandogli in che modo vengono portate avanti e relazionare sui risultati ottenuti. Niente. Silenzio (da venerdì!). Le istituzioni europeedovrebbero anch’esse sostenere un Paese membro che si trova in una momentanea difficoltà, invitando alla calma gli altri Paesi della Comunità e accantonarei particolarismi ed astenersi dall’adozione di provvedimenti che potrebbero danneggiare l’Italia, rassicurando al contempo che le misure, anche in campo economico, verranno messe in campo (soprattutto per il “Day After”, quando la crisi sarà passata). Niente. Ci si limita ad essere spettatori: “speriamo che non succeda anche a me”.

Il Governo dovrebbe rassicurare sul fronte economico che le quarantene o le limitazioni alla vita sociale, per una o due settimane, non avranno un impatto devastante (o che ne avranno uno “minimo”); la situazione economica del Paese lo richiederebbe, dato che già le stime sulla crescita non erano “rosee”, ora è prevedibile che – se la situazione dovesse prolungarsi per due/tre mesi – si assisterà ad un peggioramento, stavolta si, drastico. Invece, chiude tutto, scuole, negozi, teatri, il Salone del Mobile, pure il Campionato… ma poi invita i turisti a venire lo stesso in Italia: “è un paese sicuro”… come puoi essere credibile?

Dovrebbe rassicurare i mercati (ultimamente pare che questi ascoltino più le dichiarazioni dei Governi che il loro portafogli). Invece, niente. I nostri imprenditori vengono lasciati da soli davanti ai clienti internazionali che, anche giustamente, non si fidano se il Governo per primo non da segnali rassicuranti. Questo rende ancor più difficile la loro situazione, perché non hanno più sbocchi a causa della crescente preoccupazione. La paura della crisi economicasi diffonde come un virus, e l’effetto “domino” qui l’abbiamo assicurato.

Ci sono poi i bar, gli artigiani, i ristoranti, i negozianti, le imprese che hanno dovuto chiudere per giorni o che comunque hanno subito dei rallentamenti… il Governo dovrebbe poi mettere in atto una serie di “misure straordinarie”, come l’esonero dai versamenti delle tasse per le zone quarantenate, uno sconto fiscale per gli esercizi commerciali che operano ad orario ridotto in quelle Regioni in cui vigono ordinanze che impongono una limitazione in tal senso, ecc, insomma, tutto quello che serve per non andare ulteriormente a deprimere aree del Paese gravemente colpite dall’emergenza e quelli che stanno fuori (i consumi diminuiscono, ma l’affitto del locale non ti diminuisce, il muto lo devi continuare a pagare, ecc.).

Ma pare che di tutto ciò non se ne farà assolutamente nulla. Anzi, è più probabile che, al termine della crisi, la “vite fiscale” si stringerà ancora di più, con grave danno per l’economia dell’intero Paese: la zona più colpita è il Nord Italia, quella più ricca e produttiva… se il Nord cede, l’Italia crolla.

Si può ancora dire questo senza essere additati come “sciacalli”?

Di fronte alle inerzie del Governo, non ci resta che adottare i comportamenti raccomandati dagli esperti per la protezione individuale. Lavarsi spesso le mani, non toccarsi occhi, naso e bocca, pulire le superfici con alcol e cloro, usare la mascherina solo se si tossisce o si starnutisce per non infettare gli altri (se si è sani non serve) e tanti altri, rispettare le ordinanze dei Sindaci (che per come svolgono il loro lavoro, sono tra gli amministratori pubblici che possono godere ancora di una ampia fiducia da parte della popolazione), rassicurare chi ci sembra spaventato o troppo ansioso ed invitarlo a seguire i comportamenti corretti, parlare delle cose che ci piacciono… affinché, almeno, con i nostri comportamenti individuali, possiamo dimostrare di poter fronteggiare questa “prova” meglio di come stanno facendo le “alte” Istituzioni che ci dovrebbero rappresentare.

Tassare le merendine per finanziare l’istruzione? Ecco l’ennesima bugia a danno di studenti, genitori ed … insegnanti!

La scuola pubblica nel nostro paese versa, di anno in anno, in una situazione sempre più critica. Sono già suonate le campanelle che annunciano il nuovo anno scolastico in tutta la penisola. Nuovo anno ma problemi vecchi. 

Tra precari e supplenti è sempre più emergenza personale. Nonostante le oltre 180 mila assunzioni a tempo indeterminato effettuate negli ultimi 4 anni, anche quest’anno molte cattedre rimarranno scoperte e sarà necessario ricorrere ai supplenti. Si stima, infatti, che vi saranno tra le 150 e le 200 mila supplenze per l’anno in corso. A completare il quadro – non proprio roseo – della situazione della scuola pubblica, si aggiunge una retribuzione media, per docente, inferiore a quella dei propri pari europei. 

Per questi motivi, da molti anni e da più parti politiche, istituzionali e sindacali, provengono pressanti e unanimi richieste di aumento della spesa statale nell’istruzione, che ad oggi si colloca tra le più basse in Europa. Come sempre, in questi casi, il problema è però dove trovare i soldi per finanziare questo aumento di spesa.

La soluzione di ciò si troverebbe nella proposta del nuovo Ministro dell’Istruzione, che appare, ad un primo sguardo, logica ed equa:

Vorrei delle tasse di scopo: per esempio, sulle bibite gassate e sulle merendine, o tasse sui voli aerei che inquinano. L’idea è: faccio un’attività che inquina (volare), oppure ho uno stile di alimentazione sbagliato (merendine)? Metto una piccola tassa, e con questa ci posso finanziare delle attività utili, come la scuola o gli stili di vita più sani.

Il novello “Robin Hood” propone di togliere ai “ricchi” (cioè, oltre alle solite multinazionali che producono il c.d. “junk food” anche i genitori, che comprando le merendine prodotte industrialmente mettono a rischio senza accorgersene la salute dei propri figli) per dare ai “poveri” (cioè agli insegnanti che tengono in piedi il sistema scolastico italiano).

A chi, in fin dei conti, non sembra assolutamente corretto od equo un provvedimento del genere? Limitare l’assunzione di zuccheri e di cibi c.d. “spazzatura” da parte degli studenti e, contemporaneamente, aumentare lo stipendio dei docenti, semplicemente mettendo una tassa sulle merendine … sembra una grande vittoria! Sia per il nuovo ministro che per il governo appena insediato!

Capite bene, però, che ottenere una riduzione dei consumi e, allo stesso tempo, un maggiore gettito per finanziare l’istruzione, sono due cose contrastanti ed inconciliabili tra di loro! L’obiettivo della tassazione su dei beni potenzialmente dannosi per la salute, come le merendine ed i cibi o le bevande zuccherate, è quello di scoraggiarne il consumo tramite un aumento del prezzo. Se questo disincentivo funziona, le abitudini di acquisto dei consumatori si modificheranno, causando una diminuzione delle vendite del bene considerato poco salutare. In sintesi, più il disincentivo ha successo, minori saranno, dunque, le vendite; di conseguenza, il gettito derivante non potrà che diminuire! Ma così, come risultato finale, si avranno per forza meno risorse per finanziare l’istruzione! E non di più, come invece è stato detto.

Insomma, una tassa, magari con un aliquota abbastanza alta che sia in grado di scoraggiare l’acquisto di cibi potenzialmente dannosi, non sarebbe una soluzione alla mancanza di fondi per la scuola, ma l’esatto contrario!

A conferma di ciò, vediamo come nei Paesi in cui questa tassa è stata introdotta, si è verificata proprio la riduzione delle vendite ed il conseguente calo del gettito fiscale.

In Messico, dove questa tassa è stata introdotta nel 2014 con un’aliquota del 10%, si è registrato un calo delle vendite del 6% ed una conseguente diminuzione del gettito.

Nel 2011, nella civilissima e iper-progressista Danimarca, il governo ha introdotto un’imposta sugli alimenti che contengono troppi grassi saturi. Gli effetti sono stati disastrosi. I Danesi hanno iniziato ad acquistare gli stessi alimenti, ma nei paesi confinanti! E, per di più, l’occupazione nel settore è diminuita di oltre 1.000 unità. Il governo è stato quindi costretto a fare retromarcia e a cancellare la tassa.

Dunque, non solo la tassa sul c.d. “cibo spazzatura” non sarebbe affatto utile per aumentare gli stipendi dei docenti, ma rischierebbe, infine, di mettere in difficoltà o addirittura in crisi il settore, danneggiando le imprese ed i lavoratori che operano nel campo della vendita alimentare, oltre che ovviamente le stesse famiglie che, qualora non dissuase dall’aumento della tassazione, si troverebbero a dover spendere comuqnue di più per comprare le stesse cose. Tanto più se si considera che si è deciso di mentire anche agli insegnanti, promettendogli aumenti di salario con un sistema che, come si è visto, va a sottrarre risorse e non ad aggiungerne!

Già nel 1800, Frederic Bastiat ci metteva in guardia da questo tipo di politiche, spingendoci a notare non solo “ciò che si vede” ma anche “ciò che non si vede”. Le nuove leggi non provocano un solo effetto (quello desiderato da chi le promuove), ma una catena di eventi. Il primo effetto è immediato ed è il più facile da valutare; mentre i successivi verranno allo scoperto solo con il passare del tempo. Un bravo “policy-maker”, sia esso ministro, sia esso economista, deve essere in grado di valutare non solamente il primo, il più evidente e manifesto, effetto, ma tutta la catena ad esso conseguente, per stabilire la validità e la correttezza di un nuovo provvedimento.

Troppo spesso ci si ferma all’apparenza, concentrandosi solo su “ciò che si vede” e tralasciando, invece, proprio “ciò che non si vede”. La lezione di Bastiat, circa 200 anni dopo, è più che mai attuale, ed è necessario tenerla a mente, per evitare di essere presi in giro da una classe politica che, troppo spesso, tratta come ‘sudditi’ i cittadini, in questo caso i genitori e gli studenti.

Giù le mani dai nostri risparmi

“Giù le mani dai nostri risparmi”. Condividiamo uno saggio del nostro National Coordinator per l’Italia, Giacomo Messina pubblicato su #LeoniBlog.

L’Euro e l’Europa avranno mille difetti e problemi, ma non sono la causa dei malesseri del nostro paese. Essi sono totalmente ed assolutamente autoinflitti. Essi sono causati da una classe dirigente che ha usato la politica economica ed i soldi dei cittadini Italiani per comprare voti e distribuire mance e favori ad amici ed elettori e da uno stato elefantiaco ed inefficiente che distrugge tutto ciò che i cittadini costruiscono e producono con sudore e fatica. Chi propugna soluzioni a suon di più debito e più deficit non sta proponendo nulla di nuovo, ma la solita ricetta trita e ritrita, che abbiamo avuto modo di vedere fallire nel corso degli ultimi 40 anni.

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La CONSOB è l’Autorità Italiana per la vigilanza sui mercati finanziari. Di conseguenza, dalla relazione finale del Presidente di suddetta autorità, mi aspetterei una visione d’insieme sulle performance passate, e sugli scenari futuri dei mercati finanziari e degli istituti di credito nel nostro paese. Al contrario, nella relazione del Presidente Paolo Savona, faccio fatica a trovare un riferimento al ruolo svolto dall’autorità che presiede e noto una preminenza di analisi e proposte di politica economica. Pertanto, il suddetto discorso, suona, alle mie orecchie, molto più simile alle “Considerazioni Finali” che una volta l’anno spettano al presidente della Banca d’Italia. Una sorta di “Contro-Considerazioni Finali” da parte del massimo esponente del “Contro-Apparato” che il governo gialloverde sta, chiaramente, tentando di costruire.

Detto quindi dell’incoerenza e dell’estraneità del discorso di Savona, rispetto alle funzioni che il suo organo dovrebbe svolgere, veniamo alla sostanza di quanto dichiarato dall’ex Ministro per gli Affari Europei del governo Salvini-Di Maio.

Pronti via e subito sentiamo di nuovo la storiella del gigantesco risparmio privato delle famiglie Italiane. Anche qui mi sorge subito un dubbio. Dove, di grazia, il Professore avrebbe preso il dato che afferma che il risparmio italiano sia pari a 16 mila miliardi di euro? La relazione di Banca d’Italia ed Istat parla di un ammontare pari a 9.743 miliardi di euro (Fonte: Banca d’Italia, PDF), di cui, oltre 5 mila miliardi investiti in abitazioni. Ora, andando oltre la prima imprecisione – di una lunga serie – del Presidente Savona, cosa ha a che fare il risparmio privato con il debito pubblico di cui si parla successivamente? Quando vi dicono che il debito non è un problema perché le famiglie italiane hanno un immenso risparmio, stanno paventando due ipotesi

La prima è quella di una patrimoniale. Lo stato si indebita, usa i nostri soldi per ingigantire sempre di più la già elefantiaca macchina statale, la già iper-inefficiente pubblica amministrazione, per elargire prebende e regali elettorali a destra e manca come fa da oltre 40 anni. Ma non c’è nessun problema state tranquilli! Appena la situazione dovesse divenire insostenibile, la soluzione sarà una patrimoniale. Cioè una tassa (ennesima) sul risparmio degli Italiani. Capito? Non solo finanziate tramite tasse ed imposte, giornalmente, lo stato ladro ed inefficiente, ma dovrete essere poi voi a mettere una pezza sui buffi fatti da chi ragiona come Savona e Co. rinunciando ai soldi che avete messo da parte, risparmiando ed investendo, per il vostro futuro e per quello della vostra famiglia.

La seconda soluzione non è molto diversa dalla prima. E prende la forma della cosiddetta “Repressione Finanziaria”, di fatto una patrimoniale mascherata sotto forma di “oro alla patria” di fascistissima memoria. Invece di imporci una tassa, lo Stato ci obbligherà ad investire esclusivamente in titoli del tesoro Italiani per finanziare, ancora una volta, il debito pubblico. 

Veniamo poi a quella che ritengo la principale contraddizione del discorso di Savona. Il Presidente della Consob ritiene che non vi sia un legame ottimale tra debito pubblico e Pil. L’importante è che, cito testualmente: “… il suo (del rapporto Debito/Pil, ndr) saggio di incremento deve restare mediamente al di sotto del saggio di crescita del Pil”.

Vi è una incredibile incoerenza di fondo. Se il saggio di incremento del Debito è inferiore a quello del Pil, allora il debito sta riducendosi. Quindi stiamo producendo surplus e non deficit (i.e. austerity).

Ma credo che qui il Professor Savona voglia dirci che non vi è, secondo lui, altra alternativa alla crescita economica che quella di accumulare debito e ribaltare così la dinamica esplosiva del rapporto Debito/Pil, agendo sul denominatore. Dinamica ampiamente smentita a livello teorico e pratico, potenzialmente devastante per il nostro Paese. Superfluo, poi, sottolineare che non esiste nessun paese che abbia ridotto il rapporto Debito/Pil facendo altro deficit – ma va!

Secondo tema che tengo ad approfondire è quello sulla, presunta, austerity e “virtuosità” fiscale del nostro paese. 

La spesa pubblica in Italia, al netto degli interessi, è aumentata in maniera costante e continua dal 1995 al 2018. Solo un paese ha fatto peggio di noi, la Grecia. Faccio fatica a considerare “virtuoso” un paese che ha ormai raggiunto e sfondato il tetto del 48% di spesa pubblica in rapporto al Pil. È vero, l’Italia è il paese che più tra tutti ha prodotto avanzi primari dagli anni 90 ad oggi. Ma ciò è dovuto principalmente a due fatti. Innanzitutto, negli anni ‘80 l’Italia ha prodotti ingenti disavanzi primari, mentre gli altri paesi spendevano meno di quanto guadagnassero. Ciò ha fatto si che si creasse un enorme stock di debito pubblico e, di conseguenza, la necessità di pagare sempre maggiori interessi sul debito. Da qui la necessità, negli anni ’90, di produrre avanzi primari, comunque mai sufficienti ripagare gli interessi. 

Glisso sul tema titoli di stato europei, che richiederebbe una trattazione a parte. Ci terrei, però, a far notare che l’Italia è stata una delle principali beneficiarie del programma di acquisti di titoli di stato dalla tanto vituperata, odiata ed antitaliana BCE. Nonostante questo enorme stimolo monetario, i rendimenti dei titoli di stato italiani sono rimasti molto alti. Praticamente gli unici in tutta la zona euro. Facciamoci due domande.

Faccio finta di non leggere un riferimento al fatto che l’IRI rappresentasse il fondo sovrano italiano, cosa che è chiaramente falsa, e vado alle conclusioni.

L’Euro e l’Europa avranno mille difetti e problemi, ma non sono la causa dei malesseri del nostro Paese. Essi sono totalmente ed assolutamente autoinflitti. Essi sono causati da una classe dirigente che ha usato la politica economica ed i soldi dei cittadini Italiani per comprare voti e distribuire mance e favori ad amici ed elettori e da uno stato elefantiaco ed inefficiente che distrugge tutto ciò che i cittadini costruiscono e producono con sudore e fatica. Chi propugna soluzioni a suon di più debito e più deficit non sta proponendo nulla di nuovo, ma la solita ricetta trita e ritrita, che abbiamo avuto modo di vedere fallire nel corso degli ultimi 40 anni.

Arrestato Julian Assange: un eroe ma non per tutti

Un figlio, un padre, un marito. Vincitore di decine di riconoscimenti per la sua attività giornalistica. Nominato al Premio Nobel per la pace ogni anno, a partire dal 2010, per la sua attività di informazione e trasparenza. Parliamo di Julian Assange. Grazie a lui, Wikileaks ha pubblicato 250.000 documenti riservati del governo statunitense, denunciando lo spionaggio dei leader stranieri, lo spionaggio contro l’ONU, così come le intenzioni americane nei confronti del Medio Oriente e di altre parti del Mondo ed i crimini di guerra compiuti in Iraq e Afghanistan e tenuti nascosti dal Segreto di Stato.

Un eroe, ma non per tutti. Vistosi piovere addosso denunce di tutti i tipi e capi, nel 2012 Assange si è rifugiato presso l’Ambasciata dell’Ecuador, a Londra, chiedendo ed ottenendo l’asilo politico. Già nel 2016, in ogni caso, l’Arbitrato del Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria aveva decretato che la sua permanenza forzata nell’ambasciata ecuadoregna era da considerarsi appunto come detenzione arbitraria ed illegale da parte di Inghilterra e Svezia (che richiedeva l’estradizione per una denuncia, rivelatasi poi infondata, di stupro). Pur avendo ottenuto la cittadinanza ecuadoregna nel 2018, Assange si è visto revocare l’asilo del Paese nei giorni scorsi e, nella mattinata di ieri, alcuni agenti inglesi, sotto copertura, hanno fatto “irruzione” nell’Ambasciata prelevandolo di forza e portandolo via all’interno di un furgone della polizia. 

Per il momento non sembra sia stato richiesto il suo arresto per crimini legati all’attività di divulgazione giornalistica o di spionaggio, ma per la sola accusa di aver hakerato un server governativo americano con la complicità di Chelsea Manning (ex-militare statunitense transessuale che avrebbe fornito la chiave per aggirare il blocco) e quindi di aver violato la ‘Computer Fraud and Abuse Act’ (CFAA), una legge contro gli hacker e le violazioni informatiche del 1986, e quindi, in sostanza, gli viene contestato il modo in cui tali documenti, poi pubblicati, sono stati ottenuti. 

Ma, al di là delle accuse formali, c’è il fondato timore che gli possano essere contestate, una volta estradato, anche azioni che non solo non sono illegali, ma sono addirittura essenziali per la libertà di stampa (proteggere l’identità delle fonti, per esempio) sfruttando l’Espionage Act (la legge contro lo spionaggio americana, ndr) e che quindi possa rispondere per accuse che solo la più bieca applicazione della Ragion di Stato può giustificare. Inoltre, rimane il problema, il ‘pericolo constante’ da non sottovalutare, che la CFAA possa essere impugnata come arma contro chiunque pubblichi informazioni riservate, e che non ci sia poi alcuna garanzia che non venga in futuro applicata ai rapporti giornalistici più tradizionali, in nome della Ragion di Stato.

Ciò che è successo ieri è comunque, come la si pensi, una grave colpo alla libertà d’espressione, della libertà di diffondere notizie, della libertà di combattere le ingiustizie; crea un pericoloso precedente: chiunque sveli una qualunque Verità sull’operato di un governo rischia di vedersi negati i più semplici diritti umani e di subire processi e pene ingiuste. In altre parole, è un crimine diffondere delle prove sui crimini compiuti da chi agisce per conto di un governo o dell’interesse nazionale e poi coperti dalla Ragion di Stato?

Ora Assange, nonostante le rassicurazioni del Governo britannico ed ecuadoregno, potrebbe rischiare comunque l’estradizione negli USA, che ne ha richiesto l’arresto e dove è prevista la pena di morte. Anche se per la violazione di sistemi informatici e la sottrazione di documenti governativi sia prevista una pena massima, se venisse confermata la condanna, pari a cinque anni di carcere, non c’è ancora nessuna garanzia che non possano essergli mossi altri addebiti. Infatti, proprio il legale di Assange ha spiegato come lo US Department of Justice stia cercando di superare i termini della prescrizione del reato ascrittogli, invocando una sezione che classifica l’hacking come atto di terrorismo.

Non possiamo e non dobbiamo permettere che succeda! C’è da sperare che il sistema della Giustizia degli Stati Uniti conservi i saldi principi su cui basa il proprio sistema giudiziario, dal giusto processo all’elevato grado di certezza della prova richiesto dall’oltre ogni ragionevole dubbio per la condanna, e che non li ‘sacrifichi’ in nome di una ‘Ragion di Stato’ che, nel 2019, non ha più diritto di cittadinanza nelle democrazie occidentali. E ci auguriamo, soprattutto, che TUTTI i giornalisti si schierino dalla sua parte e facciano sentire la propria voce. #FreeAssange #DefendAssange

Richiamiamo l’Art. 3 della ‘Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, ratificata dal Regno Unito nel 1988:

“No State Party shall expel, return (“refouler“) or extradite a person to another State where there are substantial grounds for believing that he would be in danger of being subjected to torture”.