SFLItalia Intervista Vitalba Azzollini e Giuseppe Portonera

Con Vitalba Azzollini e Giuseppe Portos Portonera abbiamo parlato degli aspetti legali (di Costituzione principalmente) dell’emergenza Covid-19: limitazioni delle libertà, l’adozione dei Dpcm, delle convocazioni del Parlamento, delle App di tracciamento e della conseguente tutela della privacy, delle competenze delle Regioni (limitatamente alle dichiarazioni del Presidente Vincenzo De Luca di voler chiudere la Campania se i contagi nelle regioni del Nord non accenneranno a diminuire: lo può fare?)

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Game of Thrones mostra i problemi del potere centralizzato

La serie televisiva ci consente di vedere ciò che accade quando degli esseri umani, ovviamente imperfetti, si contendono lo scettro del comando in una situazione di vuoto di potere e quello che accade, poi, quando essi conseguono il loro obiettivo. In Game of Thrones si vede come nessun singolo personaggio sia adatto a sedere sul Trono di Spade, la cattedra del potere assoluto, così come, egualmente, nessun personaggio, o coalizione, sia adatto ad essere al vertice di un governo centralizzato. La conquista del trono, di volta in volta, da parte di ciascun personaggio, mostra il problema ciclico della politica quando ha a che fare con il potere centralizzato, cosa che, nel mondo reale, sia l’autoritarismo che il socialismo non sono riusciti ad affrontare.

Il problema del Male

È sufficiente scegliere uno qualunque dei personaggi dello show ed il problema della loro inadeguatezza diventa evidente. Iniziamo con degli esempi.

L’adolescente Joffrey Baratheon, che ha seduto sul trono per qualche stagione, era letteralmente un sadico.

Sua madre, Cersei Lannister, che sale al trono dopo la morte di tutti i suoi figli, non è certo migliore: la trappola esplosiva con l’alto fuoco, preparata al Tempio di Baelor, uccide tutti i suoi rivali ma, assieme, anche centinaia di innocenti (compreso, il suo ultimo figlio rimasto, Tommen, che si suicida per la perdita dell’amata, anch’essa nemica di Cercei). Cercei, inoltre, spinge il fratello Jamie Lannister, con il quale ha una relazione incestuosa, a buttare giù dalla torre il giovane Brandon Stark per averli scoperti, per caso.

Il principe Viserys Targaryen – alla morte del cui padre, il “Re folle”, dovette fuggire da Westeros e rinunciare al potere – accecato dall’arroganza e dalla brama di riconquistare il trono perduto, arrivò a promettere a sua sorella Daenerys che avrebbe consentito ad un intero esercito di abusarne se questo voleva dire riconquistare la sua legittima pretesa.

“Quando è posto in una posizione di assoluta autorità, ogni uomo o donna è soggetto alle stesse inclinazioni egoistiche che muovono ciascuno di Noi.”

Questi sono solo alcuni dei personaggi più crudeli e cattivi dello show, ma essi non sono i soli ad essere caratterizzati dalle iperboli tipiche dei tiranni. Nel corso della storia, quando anche altri personaggi assumono una posizione di assoluto potere, compiono anch’essi genocidi, assassinii e torture.

Le teorie sulla natura corruttrice del potere sono innumerevoli, ma rimane centrale per ciascuna l’imperfezione congenita dell’essere umano. Quando viene posto in una posizione di autorità, ogni uomo o donna è soggetto alle stesse inclinazioni egoistiche e alla paura di perdere il potere che ci contraddistinguono tutti. Questi difetti portano la anche la persona media ad intraprendere azioni di dubbia morale durante il corso della propria storia; ma quando il potere è centralizzato, la capacità di un tiranno di danneggiare gli altri diviene moltiplicata.

In breve, gli esseri umani sono imperfetti e, come possono mostrare altri esempi, anche gli uomini più virtuosi, alla fine, soccomberanno alla propria natura.

Jon Snow e il problema della Rappresentatività

Il “Re del Nord” è il protagonista centrale dello spettacolo ed il miglior candidato a seguire questa regola. Jon Snow agisce come il prototipo di eroe fantastico, un abile combattente ed un leader naturale. Possiamo dire che assomiglia ad un “politico ideale”. Combatte per i bisogni della sua gente e, stando alle sue parole, rifugge le prospettive del governo.

Nella sua provincia è un buon Signore, in grado di soddisfare la maggior parte delle richieste dei suoi sudditi. Ma il castello è piccolo, il suo popolo non è molto numeroso ed è disperso nelle vastità del Nord. Solo una minaccia imminente per il suo popolo, gli “Estranei”, lo mette a capo di un sistema centralizzato, seppur per la sopravvivenza. Diverso sarebbe se fosse stato seduto il Trono di Spade: sarebbero inevitabilmente sorti interessi molteplici e contrastanti e, nonostante il suo onore, Jon non sarebbe stato in grado di soddisfarli tutti.

Tornando al mondo reale, in “The Road to Serfdom”, Friedrich von Hayek scrive che in qualsiasi sistema centralizzato, “le opinioni di qualcuno dovranno decidere quali sono gli interessi più importanti”. In un piccolo Stato, in cui la cultura e le opinioni sono coerenti in tutto il territorio – come il Nord di Jon Snow – gli interessi contrastanti sono pochi.

Ma anche come Signore gli interessi personali di Jon entrano più volte in conflitto. Durante la Battaglia dei bastardi, ad esempio, il suo avversario Ramsey Bolton crea una sadica trappola per mettere Jon davanti ad una scelta: scegliere se salvare la vita di suo fratello o se rispettare un piano di battaglia ben congeniato. Pertanto, esattamente come Jon alla fine preferisce anteporre i bisogni della sua famiglia (i pochi) rispetto alle esigenze dei suoi alleati (i molti), allo stesso modo inevitabilmente i politici, in un sistema centralizzato, devono scegliere di privilegiare i bisogni di un gruppo o il bisogno di un altro a loro più prossimo. Gettatosi quindi in una decisione avventata, alla ceca, è solo per un intervento esterno ed inatteso, cioè l’arrivo dei Cavalieri della valle, che riesce a vincere la battaglia.

Al vertice di un governo, centrale come federale, tuttavia, è impossibile soddisfare una domanda senza calpestarne un’altra: i bisogni delle imprese rispetto alle preoccupazioni ambientali, l’equilibrio tra le preferenze educative di un gruppo culturale rispetto ad un altro, l’allocazione di fondi per le condizioni di svantaggio sociale più disparate. Sono tutte contrapposizioni che nessun governo unico centralizzato potrebbe gestire. Pertanto, come Jon ha preferito la famiglia piuttosto che i suoi alleati, i politici di un qualunque sistema centralizzato daranno priorità ai bisogni di un gruppo o di un singolo.

Daenerys e il problema dell’Autorità

Se Jon Snow è un “politico ideale”, Daenerys Targaryen è una “combattente per la libertà”. I suoi obiettivi sono nobili, come liberare la Terra dalla schiavitù o distruggere “la ruota” del potere a Westeros. A differenza di Jon Snow, rifugge dalle decisioni avventate e, salvo eccezioni, non decide senza prima essersi consultata con i suoi consiglieri. Tuttavia, non importa quanto siano nobili i suoi scopi, la sua inclinazione autoritaria è evidente.

Più volte, nel corso della serie, si affida alla forza distruttrice dei suoi draghi e al suo sempre più numeroso esercito per uccidere sì i potenti schiavisti, ma anche coloro che si rifiutano di inginocchiarsi ai suoi piedi.

Se nel Giulio Cesare di Shakespeare, mentre riflette sulla sua decisione di uccidere il sovrano, Bruto medita su come Cesare, una volta incoronato, avrebbe cambiato la sua natura, per Dany la domanda è: “cosa succede quando la schiavitù è stata abolita e lei – come Jon Snow – si ritrova di fronte a sfide eticamente ambigue?

Di volta in volta, in nome della libertà, ha bruciato vivi dei personaggi, comandato al suo esercito di macellare i nobili e di conquistare città. Ma anche di fronte alla questione, relativamente insignificante, se Jon Snow intenda o meno inginocchiarsi, ella gli ricorda, ancora una volta, dei suoi draghi. All’inizio della serie combatteva per i diritti individuali; nella sala del trono a Roccia del Drago, di fronte a sfide più complesse, la vediamo combattere invece per mantenere ed espandere il proprio potere.

La domanda che ci dobbiamo porre nel mondo reale è: “che cosa accade quando il potere centralizzato affronta questioni di Stato più piccole? Questioni come le prestazioni sociali, l’educazione o persino chi deve fare una torta?

Quindi, passando dal problema di rappresentatività ad uno di forza, una volta che la decisione è presa, la forza diventa lo strumento per raggiungere l’obiettivo.

Eddard Stark

Persino Ned Stark, il cui unico difetto apparente è la sua cieca dedizione all’onore, sarebbe incapace di governare. Forse vi sarebbe riuscito in un piccolo Stato (come il suo Nord) nel ruolo di un regnante quasi simbolico, rassegnato ad amministrare la giustizia e a dichiarare la guerra; tuttavia, se Ned Stark avesse tentato di gestire la politica o l’economia dei Sette Regni, si sarebbe presto trovato al di fuori della sue capacità.

Friedrich von Hayek ha affrontato spesso il problema posto dalla complessità. Nel suo saggio “The Use of Knowledge in Society”, scrive:

“È proprio perché ogni individuo sa poco e, in particolare, perché raramente sappiamo chi di noi sa, che è meglio che ci fidiamo degli sforzi indipendenti e competitivi di molti per indurre l’emersione di ciò che vorremmo, quando lo vediamo.”

Qualsiasi individuo, o anche un solo organo direttivo, è incapace di possedere le conoscenze necessarie per gestire un’intera società. Infatti, come non esiste un unico sistema di copertura, pubblica o privata, che possa soddisfare le diverse esigenze sanitarie di un’intera popolazione, non esiste un curriculum scolastico che istruisca adeguatamente ogni studente in una nazione variegata (per etnia, lingua, ecc…), non esistono sistemi di regolamentazione che, applicati in un Paese, possano proteggere in modo più efficace il consumatore, mantenendo al contempo la più completa libertà dell’industria di innovare e di produrre.

La Soluzione

Ci sono tre problemi quindi:

  1. Di fronte ad interessi contrastanti, un governo centralizzato dovrà favorire l’uno rispetto all’altro.
  2. Una volta presa la decisione, la forza diventerà l’unico strumento per raggiungere quell’obiettivo.
  3. Ma, anche in questo scenario ideale, qualsiasi governo centralizzato non sarebbe comunque in grado di prendere perfettamente ogni decisione e di agire in base ad ogni esigenza che si presenterà.

A questi tre problemi, un sistema capitalista può fornire delle risposte.

In risposta a questo ‘problema di comprensione’ Hayek fornisce la risposta in “The Road to Serfdom”, scrivendo che:

“Gli sforzi spontanei ed incontrollati degli individui [sono] in grado di produrre un ordine complesso di attività economiche.”

Con il processo decisionale esteso ad ogni individuo, sia acquirente che venditore, la popolazione può prendere collettivamente tutte le decisioni necessarie per raggiungere i fini ideali che si prefigge.

Per Dany, la domanda era: “Cosa succede quando la schiavitù viene abolita e lei, come Jon Snow, si ritrova di fronte a sfide eticamente ambigue?” Per quanto riguarda l’uso della forza, a differenza di Daenerys, quando il potere si estende ad innumerevoli produttori ed acquirenti, la Società inizia da sola a dirigere i propri obiettivi e le proprie preferenze; le persone possono “votare con il loro portafoglio” per sostenere un settore, oppure per chiuderlo, costringendo così le industrie a rimanere attente ai bisogni degli stessi consumatori.

I desideri conflittuali di Jon Snow non possono mai essere soddisfatti da uno Stato centralizzato. Tuttavia, laddove i piccoli organi di governo mantengono il potere, un sistema federalista può soddisfare meglio le richieste locali e culturalmente coerenti con (approssimativa) fedeltà.

Infine, il capitalismo non nega il problema del “male”, ma nel diffondere l’autorità ed il potere, offre sicuramente sufficienti controlli e bilanciamenti contro lo stesso.

Ci sono quattro problemi che ognuno dei personaggi che abbiamo citato pone: il problema del male, il problema degli interessi contrastanti, il problema della forza ed il problema della conoscenza.

Autoritarismo e Socialismo non saranno mai adatti a soddisfare tutti e quattro. Un sistema capitalista e di small government invece può.

Le conseguenze della centralizzazione: il down di Facebook

Jack Dorsey è meglio di Mark Zuckerberg, la Svizzera è meglio dell’Italia, Hayek è meglio di Keynes. No, non stiamo esponendo i nostri gusti. Stiamo commentando il “blackout” di Facebook, Instagram e Whatsapp, avvenuto la scorsa domenica. Tutti e tre questi social, infatti, sono di proprietà di Mark Zuckerberg dal 2014 e sono, a livello informatico, collegati l’uno all’altro; come nei “down” precedenti, a quello di un social è seguito a cascata quello degli altri due. Questo esempio ci introduce alla considerazione che vogliamo fare: ovvero, sono le conseguenze della centralizzazione, in questo caso imprenditoriale, ma che può essere utilizzato per descrivere le caratteristiche della centralizzazione di potere, politica ed amministrativa.

Non fraintendeteci: non vogliamo accodarci ai deliri anti-capitalistici di chi la pensa come la Senatrice Dem americana Elizabeth Warren. Non vogliamo ovviamente sostenere che le grandi aziende vadano scorporate: il Mercato, al contrario della politica, sa premiare i migliori, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda. Vogliamo limitare il nostro discorso all’ambito politico, dove gli incentivi dell’economia di mercato mancano e dove, come illustreremo a breve, ‘Small is Better’.

Dal mancato funzionamento dei tre social di Zuckerberg ci hanno guadagnato Twitter e il suo fondatore Jack Dorsey, in visibilità e in incremento di utenti. Non è, tra l’altro, la prima volta che questi ‘blackout’ si verificano: volta per volta – per quanto sia difficile convincere burocrati come Margrethe Vestager (Commissario europeo per la “concorrenza”) – Facebook, Instagram e Whatsapp perderanno utenti e credibilità, vista la maggiore fragilità che si è manifestata rispetto ai concorrenti. 

Se, dunque, la centralizzazione può essere dannosa nella competizione tra imprese, figurarsi quanto lo può essere quando si tratta di amministrare una nazione (e le sue finanze). Ed è qui che entrano in gioco la Svizzera e Friedrich von Hayek, da una parte, e l’Italia e John Maynard Keynes, dall’altra. Cioè, da un lato abbiamo ‘decentralizzazione’ (politica e amministrativa) e “spontaneous order” derivato dalle azioni individuali, mentre dall’altro abbiamo, appunto, la ‘centralizzazione’ (anche se qualcuno vorrebbe farci credere essere minore di quella che in realtà è) e l’interventismo politico.

Ora, non sta a noi, immersi negli studi universitari o appena freschi di laurea, dare giudizi oggettivi su questioni politiche ed economiche, dibattute per decenni da persone ben più competenti e preparate di noi, ma l’economia (intesa come scienza dell’azione umana, non come creazione e libera interpretazione di modelli statici da adattare a un contesto dinamico) – checché ne vogliano i detrattori – è una scienza esatta e, per quanto riguarda la politica, qualche migliaio di anni di storia umana sono sufficienti per trarre qualche generica conclusione. Ora, senza andare ad indagare le vicissitudini delle ‘Poleis greche’ e dell’impero Persiano, possiamo limitarci ad analizzare le differenze tra lo sviluppo elvetico e quello italiano, da 150 anni (circa) a questa parte, così come i risultati raggiunti dai singoli imprenditori – attori in quel grande insieme “caotico” chiamato mercato – e la pletora di burocrati e legislatori – guide illuminate del più ordinato (almeno a detta dei supporters) ‘Stato imprenditore’ (o ‘innovatore’, per dirla “alla Mazzucato”).

In Svizzera la maggior parte delle decisioni riguardanti la vita dei cittadini sono prese a livello comunale e cantonale, contesti in cui ogni individuo ha la possibilità di far valere la propria opinione e di veder rispettata la propria preferenza. Anche dal punto di vista della gestione di entrate e uscite pubbliche, l’autonomia è maggiore a livello comunale, poi cantonale e solo, infine, a livello federale (che raccoglie, e di conseguenza spende, solo il 4% dei contributi). Quest’organizzazione ha non solo dato alla Svizzera la possibilità di far coesistere pacificamente nello stesso Paese 4 diverse lingue, numerose religioni ed etnie (che altrove vivono situazioni di disagio, quando non di aperto conflitto), ma anche una delle ricchezze pro-capite più elevate del pianeta, nonostante la quasi totale mancanza di materie prime (che, invece, fanno la fortuna della Norvegia e del suo prodigioso Walfare State, ad esempio), così come una delle economie più competitive e produttive al mondo.

Al contrario, in Italia, tutte le decisioni vengono prese a Roma: alle Regioni, nel corso dei decenni è stata concessa – male – qualche briciola, mentre, per quanto riguarda i Comuni, la parola “autonomia” compare solo nei libri di storia, nel capitolo sul Rinascimento (quell’epoca di cui siamo tanti orgogliosi come italiani, ma che ci dimentichiamo aver visto – guarda caso – tutto il contrario di quella Repubblica “una e indivisibile” che è ora l’Italia). Di conseguenza, la qualità di queste decisioni è insufficiente e, quando creano un danno (leggasi: quasi sempre), questo ha conseguenze enormi e costi spaventosi per milioni di persone. I paragoni sulla ricchezza pro-capite e la produttività sono, probabilmente, ancora più impietosi.

L’ultimo confronto, si diceva, è quello tra Hayek e Keynes (o la Mazzucato, anche se non pensiamo possa reggere il confronto con il primo, a differenza dell’economista inglese), cioè tra il ‘decentralizzato mercato’ – nel senso di insieme di singole azioni individuali – e il potere dell’autorità centrale – nel senso di intervento di politici, burocrati e tecnici, nel funzionamento dell’economia. Se abbiamo l’acqua calda in bagno, l’elettricità, un tetto sopra la testa ed, in generale, qualunque prodotto o servizio che ci consenta di vivere degnamente e di soddisfare i nostri desideri, lo dobbiamo solo all’inventiva di singole persone che hanno rischiato ed investito per diffondere le proprie idee e che, alla fine, hanno trionfato. 

Diversamente, se andiamo a vedere quei casi, presenti tutt’oggi, in cui qualche burocrate “illuminato” ha deciso di investire (soldi non suoi, ovviamente) in qualche progetto “innovativo”, o più semplicemente di affidare alla macchina statale la fornitura di determinati prodotti o servizi preesistenti, i risultati sono stati, e lo sono tutt’ora, “diversamente rosei”. 

Nemmeno Internet, l’Argomento per eccellenza della Mazzucato e dei moderni teorici della centralizzazione, è riconducibile a un qualche progetto statale, come ha ben dimostrato Alberto Mingardi, nel suo ultimo libro “La verità, vi prego, sul neoliberismo”.

Qui non si vuole certo fare affidamento dogmatico alla decentralizzazione e al mercato. Siamo ben consapevoli che siamo tutti, nessuno escluso, esseri umani e pertanto fallibili. Ed è proprio per questo motivo che, messi di fronte a diverse alternative, siamo in dovere di scegliere quelle meno dannose.

Anche in un’organizzazione politica estremamente decentralizzata, così come nell’economia più libera che possiamo immaginare, ci sono ovviamente problemi, fallimenti, costi che qualcuno deve sostenere, ma – per quanto “singolarmente” grossi possano essere – essi sono esponenzialmente minori rispetto ai problemi, ai fallimenti ed ai costi che ci troviamo ad affrontare in Stati centralizzati e in economie iper-regolate, come la nostra.