Uno spettro si aggira per l’Italia della resurrezione: lo Stato Imprenditore

Articolo di Pietro Bullian: MSc in Economics presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 

In avvio della Fase (1.)2, i prescelti dal governo hanno tracciato la rotta da intraprendere per la ricostruzione dell’economia nazionale falcidiata dal lockdown: la prospettiva, fin qui, non sembra incoraggiante.

In un’intervista a La Repubblica del 26 aprile, la consulente del governo Mariana Mazzucato ha auspicato la transizione verso “uno Stato imprenditore che decida dove investire”. L’economista espone l’obiettivo ambizioso di attuare la rivoluzione della green economy, così come quello di colmare il digital divide nella popolazione e tra le varie aree del paese. Tutti obiettivi meritevoli, ma – come ben sappiamo – la via ad ogni forma di Stato coercitivo ed autoritario è da sempre lastricata delle migliori intenzioni.

Cerchiamo dunque di capire quali siano i passaggi più controversi di questo piano – e perché siano preoccupanti e allarmanti per il mondo delle imprese in questo grande momento di difficoltà.

L’intervista inizia spiegando “l’approccio ‘mission oriented’, cioè […] l’importanza di indirizzare gli investimenti pubblici e privati verso le aree che possano catalizzare innovazioni a livello intersettoriale […]. Si tratta di avere uno Stato con un ruolo di catalizzatore con l’obiettivo di intercettare e indirizzare gli investimenti.” L’obiettivo è lodevole, ma muove dal presupposto che le “aree che possano catalizzare innovazioni a livello intersettoriale” verranno identificate correttamente (e per primo) dallo Stato. In altre parole, si sottintende che lo Stato sappia, meglio (e in anticipo) rispetto agli imprenditori, dove vale la pena investire e dove si genererà più innovazione nel futuro. Una supposizione piuttosto audace.

Nel prosieguo dell’intervista – per fortuna – la consulente del governo non parla di distinzioni nel garantire quegli aiuti purtroppo vitali alle imprese in un periodo di emergenza senza precedenti come questo, ma instilla comunque il dubbio che le imprese saranno poi debitrici morali dello Stato, specificando: “per ora le si aiuta, mettendo fra le clausole che rispetteranno alcune regole, per esempio su come e cosa investire”. Dichiarazione preoccupante: pare, infatti, si vogliano “ricattare” le imprese che riceveranno aiuti, le quali dovranno impegnarsi in cambio a effettuare investimenti nei modi e nelle forme previste dallo Stato.

Ma quali sono questi modi e queste forme? L’economista del governo chiarisce che “il tavolo delle trattative per le condizionalità dovrà avere elementi diversi, a seconda delle specificità settoriali e del tipo di azienda”. La vicenda, a questo punto, si complica ulteriormente. La professoressa Mazzucato pare avanzare l’ipotesi che funzionari del governo (non meglio identificati) saranno chiamati a vagliare una ad una le proposte delle aziende, per poi stabilire – sempre con l’audace assunzione che la completezza informativa risieda nelle mani dei funzionari di Stato – la validità dei loro business plan (parliamo di quasi 4 milioni e mezzo di imprese attive in Italia). Uno scenario a dir poco preoccupante, che obbligherebbe tra l’altro il mondo delle imprese italiane, già in grande difficoltà, a sborsare milioni di euro in consulenze per la redazione delle proposte da presentare ai funzionari del governo.

Ironicamente, negli stessi giorni, il commissario per la gestione dell’emergenza Coronavirus, Domenico Arcuri, ha fornito la prima prova della potenza di fuoco dello Stato Imprenditore, bloccando de facto il mercato italiano delle mascherine in un solo giorno. Le successive uscite del commissario sul tema hanno dimostrato il livello di considerazione dei meccanismi più basilari del mercato e della formazione dei prezzi; meccanismi che, apparentemente, il commissario non ritiene importanti, dal momento che ha in seguito specificato come – a suo avviso – “il mercato per questo tipo di beni non dovrebbe esistere”. Non si capisce perché, a questo punto, debba esistere un mercato per il pane, per l’acqua potabile, per la pasta e per una serie di altri beni cosiddetti “essenziali” – che tuttavia hanno, piaccia o meno al commissario, dei prezzi di mercato.

Il prezzo calmierato di vendita imposto, infatti, è stato considerato con riferimento al costo di produzione (marginale?) pre-emergenza, che non includeva tutti i costi di riconversione e ampliamento della produzione che le imprese impegnate nello sforzo di fornire milioni di mascherine al giorno hanno dovuto sostenere in questi mesi. Inoltre, l’immediata applicazione del calmiere non ha tenuto conto dei tempi di approvvigionamento; molti commercianti, infatti, hanno pagato le mascherine di cui si sono riforniti (sul mercato) molto più di quanto non dovrebbero ora incassare per la vendita. Il commissario si è premurato di specificare di aver “fissato il prezzo massimo di vendita, non un prezzo massimo di acquisto”, non chiarendo in un primo momento chi avrebbe dovuto sopportare la perdita data dalla differenza dei due prezzi, ovvero come sarebbe stata corretta la distorsione del mercato causata dall’ordinanza stessa.

Per usare un eufemismo, la prima prova dello Stato Imprenditore, che indirizza il mercato al servizio del bene comune, poteva andare meglio.

Tuttavia, al di là di facili ironie, ciò che tutti questi ragionamenti tradiscono è una base ideologica che non tiene in considerazione le più basilari dinamiche dell’economia di mercato in cui viviamo.

Sia per quanto riguarda il mercato delle mascherine, sia per quanto riguarda il mercato degli investimenti, l’assunzione a priori è che lo Stato conosca meglio del mercato (ovvero di tutti noi, produttori e consumatori) le dinamiche di formazione dei prezzi. In altre parole: che lo Stato sia in grado di valutare meglio del consumatore quanto sia opportuno pagare per un bene di consumo; che lo Stato sia altresì in grado di valutare meglio di un investitore quale sia il progetto di investimento migliore; infine, che lo Stato sia in grado di valutare meglio di un’impresa come poter rendere più efficiente il proprio processo produttivo. Questo “Stato che tutto sa e tutto vede” sarebbe, in altre parole, un pianificatore centrale.

I prezzi – lo si vede, ad esempio, nel mercato degli articoli firmati – altro non rappresentano che il valore che i soggetti (i consumatori) attribuiscono a degli oggetti. Questo valore si crea spontaneamente per tutti i beni in natura – inclusi i beni illegali, che, pur al di fuori di ogni regola e legge, sviluppano dei prezzi propri. Distruggere il meccanismo di formazione dei prezzi vuol dire attribuirsi la capacità di “indovinare” le preferenze di tutti gli agenti economici in ogni dato momento. Qualcuno pensa davvero che sia sensato? Ha mai funzionato storicamente?

Si tratta di un’impostazione pericolosa, intrinsecamente autoritaria, perché ha il fine ultimo di sostituire le preferenze degli individui con delle “preferenze di Stato” (ovverosia le preferenze dei suoi funzionari) nella sicura idea che siano necessariamente migliori e più funzionali al benessere collettivo. Lo stesso principio, mutatis mutandis, è stato applicato immancabilmente da tutti i regimi autoritari della storia, per tante e diverse vie, tutte lastricate di buone intenzioni che avrebbero dovuto (temporaneamente) sacrificare gli individui sull’altare del “bene comune”.

Nessuno pensa che le idee dei consulenti del governo si spingano a tanto. Tuttavia, è giusto mettere in guardia dalle buone intenzioni che, se mal indirizzate, possono avere conseguenze imprevedibili sulle nostre libertà ed il nostro benessere.

Ma sul calmiere dei prezzi Diocleziano non vi ha insegnato proprio niente?

E alla fine ci siamo arrivati! Il Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa nella sera del 26 aprileAnsa /CorriereTv – ha annunciato quanto segue:

“Abbiamo già sollecitato il commissario Arcuri a calmierare i prezzi sulle mascherinenon ci saranno speculazioni su questo fronte. Ci sarà un prezzo equo e un piccolo margine di guadagno. Inoltre, il nostro impegno è quello di eliminare completamente l’Iva. Il prezzo sarà attorno allo 0,50  per le mascherine chirurgiche”.

Sugli effetti di queste politiche scellerate, ne avevamo parlato non molto tempo fa in questo articolo, di cui riproponiamo un passaggio…

“Lo Stato potrebbe imporre un “calmiere”, quindi scegliendo un ‘tetto massimo’ per il prezzo del bene, o un ‘razionamento’, scegliendo quindi la quantità massima acquistabile da ogni consumatore. In entrambi i casi, le aziende non riceveranno nessun segnale dal mercato che li spinga ad aumentare la produzione o extra-profitti che l’incentivino a farlo. Così facendo, l’allocazione del bene non sarebbe né equa né efficiente, in quanto vigerebbe la regola del “chi prima arriva meglio alloggia”. Cioè, i primi ad acquistare il bene ne avrebbero a sufficienza, mentre quelli che si sono “mossi in ritardo” rimarrebbero a mani vuote. Anzi, ad un certo punto, il bene potrebbe scomparire del tutto dal mercato.” 

Per chi non credesse a ciò che abbiamo scritto su, dovrebbe sovvenire facilmente alla memoria l’immediata analogia con il Capitolo XII de I Promessi Sposi, quello in cui Alessandro Manzoni ci narra delle conseguenze dell’introduzione di un calmiere del prezzo del pane in seguito a una scarsità di offerta derivante da un raccolto insufficiente. Il Manzoni, già nel XIX secolo aveva capito le conseguenze nefaste della manomissione del sistema dei prezzi nel circuito del mercato.”

L’editto sui prezzi di Diocleziano

Oltre all’esempio riportato nei Promessi Sposi, c’è un altro precedente storico molto noto, che si studia sin dalle elementari: L’Imperatore Diocleziano provò, nel 301 d.C., con l’Editto sui prezzi massimi, ad imporre un tetto massimo per tutti i beni, nel tentativo di contrastare l’inflazione causata dalla “crisi del III secolo“.

In estrema sintesi – a causa della notevole svalutazione delle monete romane derivata dalle emissioni incontrollate fatte dei numerosi imperatori ed usurpatori nei decenni precedenti per corrompere i soldati ed i funzionari – l’Editto poneva un limite sui prezzi per tutti i prodotti commerciabili nell’Impero Romano. L’obiettivo non era “congelare” i prezzi, ma segnarne i “maxima“, ovvero i massimi prezzi di mercato, oltre i quali determinate merci non avrebbero potuto essere vendute. Queste includevano varie merci per l’alimentazione, l’abbigliamento, le spese di trasporto per i viaggi in mare e gli stipendi settimanali. 

Tuttavia, l’Editto non risolse i problemi, poiché la massa totale delle monete coniate continuò ad aumentare, assieme all’inflazione, ed i prezzi massimi stabiliti si rivelarono troppo bassi. I mercanti o smisero di produrre le merci o le vendettero illegalmente al mercato nero (che in quegli anni proliferò) o, in alternativa, ricorsero al baratto. L’editto, come risultato, spinse ad interrompere gli affari ed il commercio. Si produsse, quindi, una vera e propria “paralisi” dell’economia nell’Impero.

Ora cosa fa dunque pensare quelle persone che, pur conoscendo gli esempi de I Promessi Sposi e di Diocleziano, uscendo di casa per andare a comprare le mascherine che gli servono – magicamente, per un qualche strano motivo completamente alieno alla logica razionale, al buon senso ed alla realtà fisica e materiale – di potersi aspettare seriamente di trovare gli scaffali trabordi di mascherine e di portarsele pure a casa in quantità e ad un prezzo così vantaggioso?

Per un ulteriore approfondimento personale sull’Editto sui prezzi massimi di Diocleziano, rimandiamo a questi due articoli di Mises italia: parte prima, parte seconda.

Ed infatti ecco quel che succede!

Il caos mascherine è già in atto! Le farmacie, infatti, sono insorte: “non possiamo perderci col prezzo imposto!” contestano il fatto che – così facendo – il costo al quale loro acquistano le mascherine sarebbe superiore a quello di vendita. In questo modo “lavoreremo in perdita quasi del 50 per cento“. Così a Napoli le farmacie hanno sospeso la vendita “per autotutela della categoria a fronte della confusione informativa istituzionale sui prezzi”.

Che sia fatto su vasta scala come fece Diocleziano, o su un genere di prodotti come il gran cancelliere Antonio Ferrer nei Promessi Sposi o con le mascherine sanitarie, come fatto da Conte e Arcuri, i risultati nefasti dell’imposizione del calmiere non cambiano!

Purtroppo, vale ancora la conclusione che avevamo fatto allora:

“molti oggi stentano a capire (o fanno finta di non capire) questi semplici meccanismi”.

La spesa attraverso gli stimoli non fermerà le ricadute economiche del Coronavirus

Articolo tratto e tradotto da FEE.com (di Daniel J. Mitchell)

I “trenta denari” dell’economia keynesiana si ripresentano.

Il Coronavirus è una vera minaccia alla prosperità, almeno nel breve periodo, in gran parte perché sta causando una contrazione del commercio globale.

Il lato positivo di quest’aria di tempesta è che il Presidente Donald Trump potrebbe imparare che il commercio è in realtà buono e non cattivo.

Ma quando le nubi nere si addensano è probabile che ci scappi anche il fulmine, o perlomeno lo è quando la combriccola di Washington decide che è tempo di un’altra dose di economia Keynesiana.

  • Keynesismo fiscale – il governo prende in prestito del denaro dai mercati finanziari e quindi i politici redistribuiscono i fondi con la speranza che i destinatari spendano di più.
  • Keynesismo monetario – il governo crea più denaro con la speranza che dei tassi di interesse più bassi stimolino così i prestiti ed i destinatari spendano di più.

I critici avvertono, correttamente, che le politiche keynesiane sono sbagliate. Una maggiore spesa può essere una conseguenza della crescita economica,  ma non il fattore scatenante della crescita economica.

Ma i “trenta denari” dell’economia keynesiana continuano a riapparire perché offrono ai politici una scusa buona per comprare voti.

Il Wall Street Journal ha espresso la sua opinione sui rischi di un maggiore stimolo monetario keynesiano.

“La Federal Reserve è diventata il medico di base per qualsiasi cosa affligga l’economia degli Stati Uniti, e martedì il medico finanziario ha applicato quello che spera sarà un balsamo monetario contro il danno economico del Coronavirus. […] La teoria alla base del taglio dei tassi sembra essere che un’azione aggressiva sia il modo migliore per inviare un forte messaggio di stabilità ai mercati. […] ciò ci rende scettici. […] Nessuno prenderà quel volo per Tokyo perché la Fed improvvisamente paga meno sulle riserve in eccesso. […] Il grande errore della Fed dopo l’11 settembre è stato quello di mantenere i tassi all’1% o quasi per troppo tempo anche dopo che il taglio delle tasse del 2003 aveva fatto bisbigliare l’economia. Ecco come i semi del boom immobiliare e del tracollo furono seminati.”

E l’editoriale ha anche messo in guardia sugli ulteriori stimoli fiscali keynesiani.

Anche se un taglio fiscale temporaneo è il veicolo utilizzato per scaricare denaro nell’economia.

“Essendo l’anno delle elezioni, la classe politica sta anche iniziando a chiedere più “stimoli” fiscali. … Se il Signor Trump si innamorasse di questo, avrebbe abbracciato la Joe Bidenomics. Abbiamo già provato l’idea di una riduzione temporanea dell’imposta sui salari nell’era della lenta crescita sotto Obama, riducendo la quota del prelievo sui lavoratori dal 6,2% al 4,2% dello stipendio. Questa è entrata in vigore a gennaio del 2011, ma il tasso di disoccupazione è rimasto al di sopra del 9% per la maggior parte del resto di quell’anno. Le riduzioni fiscali temporanee mettono più denaro nelle tasche delle persone e possono dare una spinta a breve termine sulle statistiche del PIL. Ma l’effetto di crescita svanisce rapidamente perché non cambia in modo permanente sia l’incentivo a risparmiare che ad investire.”

Due punti veramente eccellenti.

Solo i tagli fiscali permanenti sul versante dell’offerta incoraggiano una maggiore prosperità, mentre così non fanno i tagli fiscali temporanei in stile keynesiano.

Data la divisione politica a Washington, non è chiaro se i politici saranno d’accordo su come perseguire il keynesismo fiscale.

Ma ciò non significa che possiamo rilassarci. Trump è un fan della politica monetaria keynesiana e la Federal Reserve è suscettibile alle pressioni politiche.

Non aspettatevi buoni risultati dagli intrallazzi monetari. George Melloan ha scritto  sull’inefficacia dello stimolo monetario l’anno scorso, ben prima che il Coronavirus diventasse un problema.

“I più recenti promotori degli “stimoli” monetari sono stati Barack Obama ed i presidenti della Fed che hanno servito durante la sua presidenza, Ben Bernanke e Janet Yellen. […] i presidenti dell’era Obama hanno cercato di stimolare la crescita “mantenendo la politica del tasso zero per sei anni e mezzo pur in un periodo di ripresa economica, e più che quadruplicando le dimensioni del bilancio della Fed”. E cosa abbiamo dimostrato? Dopo il crollo del 2009, la crescita economica tra il 2010 e il 2017 è stata in media del 2,2%, ben al di sotto della media storica del 3%, nonostante le drastiche misure della Fed. I bassi tassi d’interesse stimolano certamente i prestiti, ma non è la stessa cosa di una crescita economica. In effetti può spesso frenare la crescita. […] Infatti il Congresso si è fatto l’idea che il credito sia in qualche modo gratuito, quindi ora gente come Elizabeth Warren e Bernie Sanders pensano che lo Zio Sam possa prendere in prestito da un pozzo senza fondo. I prestiti facili non solo gonfiano i costi di servizio del debito, ma incoraggiano anche i cattivi investimenti. […] quando Donald Trump martella la Fed per avere dei tassi più bassi, […] ha ingaggiato una battaglia contro i mulini a vento.

Poiché la Federal Reserve ha già ridotto i tassi d’interesse, quel cavallo keynesiano ha già lasciato il fienile.

Detto questo, non aspettatevi buoni risultati. L’economia keynesiana ha un track record molto scarso (se il keynesismo fiscale ed il keynesismo monetario fossero una ricetta per il successo, il Giappone sarebbe in forte espansione).

Quindi speriamo che i politici non mettano una sella sul cavallo fiscale keynesiano.

Se Trump sente di dover fare qualcosa, ho classificato le sue opzioni (*) l’estate scorsa.

La linea di fondo è che una buona politica a breve termine è anche una buona politica a lungo termine.

(*) ecco alcune opzioni da adottare secondo Daniel J. Mitchell

  1. Eliminare i dazi – I vari dazi di Trump hanno reso l’economia americana meno efficiente e meno produttiva. E il Presidente ha il potere unilaterale di annullare le sue politiche protezionistiche e distruttive.
  2. Indicizzare i guadagni in conto capitale – L’argomento morale per utilizzare l’autorità di regolamentazione per indicizzare guadagni in conto capitale all’inflazione è altrettanto forte quanto l’argomento economico, per quanto mi riguarda. Le potenziali cause legali potrebbero creare incertezza e quindi ammutolire l’impatto benefico.
  3. Riduzione delle aliquote fiscali sui salari – Sebbene sia sempre una buona idea ridurre le aliquote fiscali marginali sul lavoro, i politici stanno solo prendendo in considerazione una riduzione temporanea, che ridurrebbe notevolmente qualsiasi potenziale beneficio.
  4. Non fare nulla – Ad oggi, in base alle dichiarazioni di Trump, questa parrebbe essere l’opzione più probabile. E dal momento che “fare qualcosa” a Washington spesso significa più potere per il governo, c’è una forte argomentazione in sostegno del “non fare nulla”.
  5. Infrastrutture – Temo che Trump si unirà ai Democratici (e ad alcuni Repubblicani “orientati alla carne di maiale”) per mettere in atto un pacchetto di spese per i trasporti.
  6. Easy Money dalla Fed – Trump spinge sulla Federal Reserve nella speranza che la banca centrale utilizzi i suoi poteri per ridurre artificialmente i tassi d’interesse. Il Presidente, a quanto pare, pensa che la politica monetaria keynesiana farà ruggire l’economia. In realtà, l’intervento della Fed di solito è la causa dell’instabilità economica.

Coronavirus, “caccia al disinfettante”. Prezzi alle stelle per mascherine e prodotti igienizzanti.

In seguito all’ansia generalizzata derivante dai primi casi di CoronaVirus COVID19 nel nostro Paese, gli Italiani hanno preso d’assalto i supermercati e cercato di acquistare quanti più beni di prima necessità possibili, per anticipare una possibile quarantena.

Inoltre, gli acquisti di prodotti igienizzanti come i gel per le mani o le mascherine per evitare il contagi sono aumentati, provocando un conseguente aumento dei prezzi. Tale incremento ha portato numerose persone a lamentarsi di un presunto sciacallaggio da parte dei produttori e distributori di questi beni, che dovrebbero evitare di lucrare in queste situazioni complicate.

Ma è davvero così? L’aumento del prezzo dei gel igienizzanti e delle mascherine è derivante da un comportamento disdicevole dei produttori oppure è semplicemente un naturale effetto del mercato che tenta di allocare più efficacemente le risorse scarse?

L’aumento della domanda di un bene spinge il prezzo del bene stesso ad aumentare. L’extra profitto derivante aumento del prezzo segnala alle aziende produttrici che è arrivato il momento di produrre una quantità maggiore del bene e gli fornisce le risorse e gli incentivi per farlo. Nel breve periodo l’aumento del prezzo ridurrà le vendite, in modo da evitare la totale scomparsa del bene dal mercato. L’allocazione è efficiente in quanto il bene verrà acquistato solo da chi davvero lo desidera, ma ovviamente non equa, in quanto consumatori con maggiore disponibilità di denaro potranno acquistarlo più facilmente. Ma le aziende nel frattempo, grazie al segnale mandatogli dal prezzo, avranno aumentato la produzione, e presto saranno in grado di offrire la giusta quantità di bene, portando il prezzo a diminuire nuovamente.

Se questo vi sembra comunque non equo e corretto, pensiamo alle alternative.

Lo Stato potrebbe imporre un “calmiere”, quindi scegliendo un ‘tetto massimo’ per il prezzo del bene, o un ‘razionamento’, scegliendo quindi la quantità massima acquistabile da ogni consumatore. In entrambi i casi, le aziende non riceveranno nessun segnale dal mercato che li spinga ad aumentare la produzione o extra-profitti che l’incentivino a farlo. Così facendo, l’allocazione del bene non sarebbe né equa né efficiente, in quanto vigerebbe la regola del “chi prima arriva meglio alloggia”. Cioè, i primi ad acquistare il bene ne avrebbero a sufficienza, mentre quelli che si sono “mossi in ritardo” rimarrebbero a mani vuote. Anzi, ad un certo punto, il bene potrebbe scomparire del tutto dal mercato.

Per chi non credesse a ciò che abbiamo scritto su, dovrebbe sovvenire facilmente alla memoria l’immediata analogia con il Capitolo XII de “I Promessi Sposi”, quello in cui Alessandro Manzoni ci narra delle conseguenze dell’introduzione di un calmiere del prezzo del pane in seguito a una scarsità di offerta derivante da un raccolto insufficiente. Il Manzoni, già nel XIX secolo aveva capito le conseguenze nefaste della manomissione del sistema dei prezzi nel circuito del mercato.

Purtroppo molti oggi stentano a capire (o fanno finta di non capire) questi semplici meccanismi.