Ma sul calmiere dei prezzi Diocleziano non vi ha insegnato proprio niente?

E alla fine ci siamo arrivati! Il Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa nella sera del 26 aprileAnsa /CorriereTv – ha annunciato quanto segue:

“Abbiamo già sollecitato il commissario Arcuri a calmierare i prezzi sulle mascherinenon ci saranno speculazioni su questo fronte. Ci sarà un prezzo equo e un piccolo margine di guadagno. Inoltre, il nostro impegno è quello di eliminare completamente l’Iva. Il prezzo sarà attorno allo 0,50  per le mascherine chirurgiche”.

Sugli effetti di queste politiche scellerate, ne avevamo parlato non molto tempo fa in questo articolo, di cui riproponiamo un passaggio…

“Lo Stato potrebbe imporre un “calmiere”, quindi scegliendo un ‘tetto massimo’ per il prezzo del bene, o un ‘razionamento’, scegliendo quindi la quantità massima acquistabile da ogni consumatore. In entrambi i casi, le aziende non riceveranno nessun segnale dal mercato che li spinga ad aumentare la produzione o extra-profitti che l’incentivino a farlo. Così facendo, l’allocazione del bene non sarebbe né equa né efficiente, in quanto vigerebbe la regola del “chi prima arriva meglio alloggia”. Cioè, i primi ad acquistare il bene ne avrebbero a sufficienza, mentre quelli che si sono “mossi in ritardo” rimarrebbero a mani vuote. Anzi, ad un certo punto, il bene potrebbe scomparire del tutto dal mercato.” 

Per chi non credesse a ciò che abbiamo scritto su, dovrebbe sovvenire facilmente alla memoria l’immediata analogia con il Capitolo XII de I Promessi Sposi, quello in cui Alessandro Manzoni ci narra delle conseguenze dell’introduzione di un calmiere del prezzo del pane in seguito a una scarsità di offerta derivante da un raccolto insufficiente. Il Manzoni, già nel XIX secolo aveva capito le conseguenze nefaste della manomissione del sistema dei prezzi nel circuito del mercato.”

L’editto sui prezzi di Diocleziano

Oltre all’esempio riportato nei Promessi Sposi, c’è un altro precedente storico molto noto, che si studia sin dalle elementari: L’Imperatore Diocleziano provò, nel 301 d.C., con l’Editto sui prezzi massimi, ad imporre un tetto massimo per tutti i beni, nel tentativo di contrastare l’inflazione causata dalla “crisi del III secolo“.

In estrema sintesi – a causa della notevole svalutazione delle monete romane derivata dalle emissioni incontrollate fatte dei numerosi imperatori ed usurpatori nei decenni precedenti per corrompere i soldati ed i funzionari – l’Editto poneva un limite sui prezzi per tutti i prodotti commerciabili nell’Impero Romano. L’obiettivo non era “congelare” i prezzi, ma segnarne i “maxima“, ovvero i massimi prezzi di mercato, oltre i quali determinate merci non avrebbero potuto essere vendute. Queste includevano varie merci per l’alimentazione, l’abbigliamento, le spese di trasporto per i viaggi in mare e gli stipendi settimanali. 

Tuttavia, l’Editto non risolse i problemi, poiché la massa totale delle monete coniate continuò ad aumentare, assieme all’inflazione, ed i prezzi massimi stabiliti si rivelarono troppo bassi. I mercanti o smisero di produrre le merci o le vendettero illegalmente al mercato nero (che in quegli anni proliferò) o, in alternativa, ricorsero al baratto. L’editto, come risultato, spinse ad interrompere gli affari ed il commercio. Si produsse, quindi, una vera e propria “paralisi” dell’economia nell’Impero.

Ora cosa fa dunque pensare quelle persone che, pur conoscendo gli esempi de I Promessi Sposi e di Diocleziano, uscendo di casa per andare a comprare le mascherine che gli servono – magicamente, per un qualche strano motivo completamente alieno alla logica razionale, al buon senso ed alla realtà fisica e materiale – di potersi aspettare seriamente di trovare gli scaffali trabordi di mascherine e di portarsele pure a casa in quantità e ad un prezzo così vantaggioso?

Per un ulteriore approfondimento personale sull’Editto sui prezzi massimi di Diocleziano, rimandiamo a questi due articoli di Mises italia: parte prima, parte seconda.

Ed infatti ecco quel che succede!

Il caos mascherine è già in atto! Le farmacie, infatti, sono insorte: “non possiamo perderci col prezzo imposto!” contestano il fatto che – così facendo – il costo al quale loro acquistano le mascherine sarebbe superiore a quello di vendita. In questo modo “lavoreremo in perdita quasi del 50 per cento“. Così a Napoli le farmacie hanno sospeso la vendita “per autotutela della categoria a fronte della confusione informativa istituzionale sui prezzi”.

Che sia fatto su vasta scala come fece Diocleziano, o su un genere di prodotti come il gran cancelliere Antonio Ferrer nei Promessi Sposi o con le mascherine sanitarie, come fatto da Conte e Arcuri, i risultati nefasti dell’imposizione del calmiere non cambiano!

Purtroppo, vale ancora la conclusione che avevamo fatto allora:

“molti oggi stentano a capire (o fanno finta di non capire) questi semplici meccanismi”.

Perché dovresti ricordare Bruno Leoni

Il lavoro di Bruno Leoni merita di essere ricordato perché il suo omicidio, mezzo secolo fa, ha messo a tacere la sua coerente e originale voce per la libertà e perché pochi italiani sono, persino oggi, consapevoli del suo contributo.

Bruno Leoni era uno studioso, filosofo politico, avvocato, editorialista ed uno dei più importanti liberali classici del XX secolo in Italia. Fu professore di Filosofia del diritto e Dottrina dello Stato all’Università di Pavia per un quarto di secolo, dal 1942 fino alla sua morte. Ha fondato e curato la rivista di scienze politiche, Il Politico. E’ stato segretario e poi presidente della Mont Pelerin Society. Era un ammiratore di Ludwig von Mises e ebbe una grande influenza, tra gli altri, su Friedrich Hayek.

Il lavoro di Bruno Leoni merita di essere ricordato perché il suo omicidio, mezzo secolo fa, ha messo a tacere la sua coerente e originale voce per la libertà e perché pochi italiani sono, persino oggi, consapevoli del suo contributo. In particolare, vale la pena di riscoprire le sue intuizioni contenute in Freedom and the Law, che hanno affrontato con forza i rischi che una “legislazione iperestesa” rappresenta per la libertà.

“I sistemi giuridici contemporanei … lasciano un’area sempre più ristretta alla libertà individuale.”

“[Laddove] prevale sempre l’autorità … gli individui devono arrendersi, indipendentemente dal fatto che abbiano ragione o torto”.

“Il crescente potere dei funzionari governativi … interferisce … quasi a loro piacimento, con ogni tipo di interesse e attività privati”.

“Si dovrebbe rifiutare il processo legislativo ogni qualvolta sia possibile per le persone coinvolte raggiungere i propri obiettivi senza dover dipendere dalla decisione di un gruppo e senza costringere effettivamente altre persone a fare ciò che non farebbero mai senza costrizione”.

“[Con] la dilatazione del processo legislativo … tutti prima o poi si confronteranno con … uno stato di disordini perpetui e di oppressione generale”.

“Un principio molto antico sembra essere stato violato nella società contemporanea … “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.”

“I sostenitori della proliferazione legislativa … [sostengono che] ciò che le persone reali decidono o non decidono all’interno di una società dovrebbe essere del tutto trascurato e sostituito da ciò che una qualsiasi manciata di legislatori potrebbe farsi venire in mente, decidendo per essi, in qualsiasi momento”.

“L’ideale dello “stato di diritto” … [era] il principio di libertà dalle interferenze da parte di tutti, comprese le autorità”.

“Ogniqualvolta la regola di maggioranza sostituisce la scelta individuale senza che ve ne sia la necessità, la democrazia confligge con la libertà individuale. È questo particolare tipo di espressione democratica che dovrebbe essere tenuto al minimo allo scopo di conservare un massimo spazio di democrazia che sia compatibile con la libertà individuale.”

La situazione paradossale del nostro tempo è che siamo governati da uomini, non perché non siamo governati dal diritto, come pretenderebbe la classica teoria aristotelica, ma esattamente perché lo siamo.”

citazioni tratte e tradotte da Freedom and the Law

Bruno Leoni, a differenza di molti oggi, ha riconosciuto che “la legislazione … è in realtà molto meno capace di organizzare la vita sociale di quanto i suoi sostenitori sembrano credere”, e che “non vi è alcun dubbio sulla scelta a favore della libertà individuale, concepita come la condizione di ogni uomo di fare le proprie scelte senza essere costretto da nessun altro a fare controvoglia ciò che quest’ultimo gli impone.” Perché “se si dà valore alla libertà individuale di agire e di decidere, non si può evitare di giungere alla conclusione che ci deve essere qualcosa di sbagliato nell’intero sistema”, la risposta è in una “legislazione ridotta“, in cui “la facoltà di scegliere deve essere lasciate all’individuo e non alle autorità.”

Freedom and the Law di Bruno Leoni hanno chiaramente esposto l’argomento contro una “legislazione iperestesa”, che egli ha riconosciuto come il risultato a cui ambiscono persone in cerca “della libertà di costringere altre persone a fare ciò che queste non farebbero mai se fossero libere di scegliere da sole”. In altre parole, una legislazione così dilatata è incompatibile con la libertà, e più la sua portata coercitiva si espande, più la libertà viene persa. Vide anche l’unica soluzione definitiva per riprendersi la libertà nel “ridisegnare … le aree occupate rispettivamente dalle scelte individuali e dalle decisioni collettive … con il conseguente corollario di procedure coercitive”. Cioè, “dobbiamo ridurre i poteri dei legislatori per ripristinare per quanto più possibile la libertà individuale… consentendo alle persone di stabilire i propri fini”.

Nel 2003 è stato fondato in sua memoria l’Istituto Bruno Leoni, “per promuovere le idee per il libero mercato” e con lo scopo di “dare il suo contributo alla cultura politica italiana, affinché siano meglio compresi il ruolo della libertà e dell’iniziativa privata, fondamentali per una società davvero prospera e aperta”.

“L’Istituto Bruno Leoni ritiene che il pensiero di Bruno Leoni possa offrire un importante contributo al dibattito politico in Italia e in Europa. Maggiori informazioni sulla vita e le opere di questo grande pensatore sono disponibili sul sito dedicato Riscoprire Bruno Leoni” a cui rinviamo per un ulteriore approfondimento personale.

Noi di Students For Liberty Italia vogliamo ricordarlo oggi nell’anniversario della sua nascita, il 26 aprile del 1913, per i suoi insegnamenti e le sue idee troppo “scomode” e “raggelanti“, nella loro cruda ovvietà, per i detentori del potere, per la sua grandissima fama a livello internazionale che, ahinoi, non ha raccolto lo stesso riconoscimenti nel nostro Paese: Nemo propheta in patria.

Ecco perché cedere i propri dati ai social network non è la stessa cosa che farlo con lo Stato

“Hai già ceduto tutti i tuoi dati a Facebook, e ora non vuoi farlo per un’applicazione che può salvare la vita a migliaia di persone?”. Questa è una delle obiezioni più frequenti che vengono poste a chi esprime dubbi sull’app per il tracciamento degli infetti che il governo italiano sta pensando di utilizzare per la, ormai nota, “fase 2”.

Un’argomentazione simile è alla base di un articolo di Luigi Zingales, pubblicato qualche giorno fa. L’economista Italiano, che insegna a Chicago, afferma che “…il governo deve dire agli Americani la verità: abbiamo già perso la privacy che desideriamo proteggere. L’abbiamo persa quando abbiamo ciecamente accettato le condizioni di uso di Facebook, Google, Apple e moltre altre piattaforme digitali…”.

Se è certamente vero quanto affermato da Zingales, questo non costituisce una condizione sufficiente per accettare acriticamente il tracciamento digitale. Ciò che sfugge a Zingales, e a tutti gli altri sostenitori di questa tesi, è la differenza, abissale, tra un’azienda privata e lo Stato.

Innanzitutto, nessuno ci ha obbligati ad iscriverci ai social network o ad altre piattaforme digitali. Allo stesso modo niente e nessuno ci vieta di abbandonarle dall’oggi al domani.

Ma la questione fondamentale è che le aziende private, a differenza dello Stato, non hanno il c.d. “monopolio della forza”. Facebook, Google ed Amazon, possono sapere cosa votiamo, cosa ci piace mangiare, quali sono i nostri gusti musicali o i nostri libri preferiti. E possono utilizzare queste informazioni per invogliarci ad acquistare un prodotto piuttosto che un altro, per offrirci degli sconti e così via.

Ma, differenza della aziende high-tech, lo Stato può arrestarci, disporre dei nostri diritti e delle nostre libertà a piacimento, interpretando più o meno ampiamente gli articoli della Costituzione a seconda delle circostanze e dell’utilità del momento. Senza dimenticare che lo Stato è già in possesso di una grande mole di dati personali, come ad esempio attraverso l’Agenzia delle Entrate, con cui conosce tutto il nostro patrimonio. Dati e informazioni che non sono disponibili, invece, agli attori privati.

I dati raccolti dall’app di tracing sarebbero estremamente diversi e ben più sensibili di quelli che cediamo quotidianamente attraverso internet. L’app raccoglierebbe i nostri dati sanitari, saprebbe con chi siamo venuti in contatto, con chi ci siamo incontrati, con chi abbiamo trascorso la nostra giornata e così via. Insomma, l’app di tracciamento metterebbe insieme una serie di dati personali che oggi non potrebbero essere in mano ad un singolo operatore privato.

Provate allora ad immaginare cosa succederebbe in caso di “data breach” – cosa peraltro già successa in Olanda. Oppure, vi sentite così sicuri dopo ciò che che è successo, poco tempo fa, al sito dell’INPS?

A tutto ciò aggiungiamo il fatto che il contact tracing non è la panacea di tutti i mali. Non è il “silver bullet” che sconfigge definitivamente il virus (così come non lo è il lockdown). Esso è utile se si è in grado poi di testare tutti gli individui effettivamente venuti a contatto con colui che è risultato infetto. In assenza di una capacità di testing elevata, il contact tracing è fondamentalmente inutile o poco utile.

Chiedere chiarezza ed esprimere dubbi sul funzionamento dell’app di contact tracing non vuol dire essere degli “irresponsabili egoisti”, a cui non importa nulla di limitare la diffusione del virus. La salute e la sicurezza sono indubbiamente due valori fondamentali, da preservare in tutti i modi. Ma ciò non può bastare a rinunciare acriticamente a tutte le nostre libertà.

Un mondo in cui le libertà vengono messe in secondo piano è il mondo descritto da George Orwell in “1984“. Un mondo in cui tutti gli individui vengono spiati, seguiti e tracciati dal governo “per il loro bene”. Questo non è il mondo in cui noi ci auspichiamo di vivere, anche qualora fosse privo di epidemie.

SFLItalia Intervista Vitalba Azzollini e Giuseppe Portonera

Con Vitalba Azzollini e Giuseppe Portos Portonera abbiamo parlato degli aspetti legali (di Costituzione principalmente) dell’emergenza Covid-19: limitazioni delle libertà, l’adozione dei Dpcm, delle convocazioni del Parlamento, delle App di tracciamento e della conseguente tutela della privacy, delle competenze delle Regioni (limitatamente alle dichiarazioni del Presidente Vincenzo De Luca di voler chiudere la Campania se i contagi nelle regioni del Nord non accenneranno a diminuire: lo può fare?)

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L’indifferenza sugli inseguimenti di liberi cittadini con droni ed elicotteri: un tunnel senza fine e senza luce

Durante la trasmissione di Barbara D’Urso una giornalista sull’elicottero della Guardia di Finanza ha filmato la “caccia” al trasgressore su una spiaggia nel veneziano. Un servizio simile, montato sulle note della cavalcata delle Valchirie di Apocalypse Now, è stato trasmesso anche su Agorà, Raitre. 

Una narrazione non nuova ma che il giorno di Pasquetta ha raggiunto il suo apice, un racconto della realtà che addossa la responsabilità dell’aumento dei contagi unicamente su quei (pochi) cittadini italiani che si rendono rei di violare il mantra del “restate a casa”, anche solo per pochi minuti di passeggiata solitaria, magari non lontani dalla propria casa.

Molti se la sono presa con i programmi televisivi sopracitati, ma pochi o nessuno con la Guardia di Finanza stessa che, con i soldi dei contribuenti che osserva dal cielo, oltre a prestarsi per simili comparsate televisive si diverte anche a fare anche gli inseguimenti live (da migliaia di euro per minuto di volo) che stanno fra la Corea de Nord e il film d’azione più scadenti. Noi invece avremmo chiesto delle spiegazioni.

Dai camminatori ai runner agli imprenditori che vogliono riaprire la propria azienda, prosegue la spasmodica ricerca, anche attraverso l’uso di droni ed elicotteri in diretta televisiva, del “capro espiatorio” al solo scopo di coprire le mancanze del governo. 

Alcuni rimarranno indifferenti davanti a tali immagini, molti altri ne saranno compiaciuti, in pochi si renderanno conto che stiamo entrando in un tunnel senza fine e senza luce.


Coronavirus. Criticare il Governo non vuol dire essere “sciacalli”

Questi giorni che stanno mettendo alla prova il nostro Paese ci dicono tante cose.  Ad oggi si contano 528 casi (tra cui vi sarebbero anche dei bambini) e 14 vittime, quarantene imposte nei due focolai di Lombardia e Veneto; scuole, università, cinema e altri luoghi di aggregazione chiusi; orari ridotti per gli esercizi commerciali, città come Milano semi-vuote. Di fronte a questa situazione, che non può che suscitare preoccupazione ed uno stato d’ansia generale (ma che è ben lungi da diventare una “psicosi”, termine che troppo spesso viene usato impropriamente) è perfettamente normale che più di qualche voce si alzi contro il nostro Governo.

Perché, effettivamente, ai più risulta incomprensibile come sia potuto accadere che, da pochi casi circoscritti, si sia arrivati ad essere il primo Paese in Europa per numero di contagi ed i terzi al Mondo. Che cosa non si è fatto? Perché non lo si è fatto prima? Tutte domande legittime.

Il Governo italiano ha chiesto alle forze politiche di condividere i provvedimenti presi per arginare l’epidemia di #Coronavirus, motivando questa richiesta con il fatto che l’interesse dei cittadini dovesse superare ogni polemica e divisione. Ma è assai difficile che questi appelli, pelosi e tardivi, all’“unità nazionale” ed al “bene comune” possano essere accolti, soprattutto se si tiene conto di una serie di debolezze del nostro sistema, che ovviamente preesistevano allo scoppio dell’epidemia, ma che con questa si sono acuite, soprattutto alla luce della cattiva gestione della comunicazione, sia interna che estera, messa in campo dal Governo nei giorni della crisi. 

In questo sentiamo che sia giusto sostenere, come ha ben fatto notare Nicola Porrosulla sua celebre “Zuppa” che “criticare il governo non vuol dire essere degli sciacalli”. Criticare l’azione di un Governo è sempre “cosa buona e giusta”, perché, ottimisticamente parlando, lo si può costringere a prestare più attenzione e a conformare il suo atteggiamento a dei canoni più razionali, oppure, aiutarlo a prendere atto della sua inadeguatezza ed invitarlo a farsi da parte, per lasciare il posto a persone capaci di proporre soluzioni più ponderate.

Perché, al di là degli appelli, è ormai chiaro a tutti che il Governo abbia “peccato” di negligenza e supponenza oltre ai limiti del tollerabile. Una situazione che dovrebbe essere come minimo “scomoda” per tutti coloro che, a differenza nostra, vedono il Governo come l’unica ancora di salvezza per preservare l’ordine sociale ed il quieto vivere civile: molto spesso, i Governi sono i primi responsabili degli scossoni arrecati allo stesso ordine sociale ed allo stesso quieto vivere civile che si vuole preservare. Uno spunto su cui riflettere (se si ha voglia).

E veniamo a quali sono gli errori e le mancanzeche ha manifestato il “Governo”(e lo diciamo in quanto tale, dunque, a prescindere dal colore politico che avrebbe avuto in circostanze diverse dalle attuali), discorso che può essere allargato al resto delle Istituzioni ed ai ben noti “corpi intermedi”.

In principio fu… “il Governo ha adottato le misure più restrittive per fronteggiare la diffusione del Coronavirus”, “abbiamo bloccato i voli, siamo facendo i controlli della temperatura corporea negli aeroporti”, “l’Italia ha fatto molto di più degli altri Paesi”. Mantra ripetuti a reti unificate per giorni. 

Poi, però, sono scoppiati i focolai in Lombardia e Veneto. Qualcosa non ha funzionato, e persino l’Organizzazione mondiale della sanità(OMS) – alle cui indicazioni il Governo diceva essersi atteso “scrupolosamente” – per bocca di Walter Ricciardi, ha rimproverato all’Italia “di avere agito in maniera non efficace al virus, perché la scelta di non mettere in quarantena tutti coloro che arrivavano dalla Cina ci ha resi suscettibili a una minaccia non ancora completamente esplorata dalla “comunità scientifica”. Per di più, la sospensione dei voli dalla Cina ha creato un’illusoria parvenza di sicurezza, mentre i portatori del virus arrivavano per altre vie”. Questa è stata, in definitiva, “una scelta non scientifica”. Se un Governo non si attiene alle raccomandazioni degli organi internazionali che lui stesso si è impegnato a seguire, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

E non si è comportato meglio nemmeno nei confronti delle Regioni, Lombardia e Veneto, le quali  avevano chiesto già tempo addietro, per bocca dei loro rappresentanti, misure volte al contenimento della diffusione del virus, come quella di effettuare dei controlli sanitari approfonditi e di isolare o mettere in quarantena per almeno due settimane gli alunni che fossero stati in Cina nelle due settimane precedenti (indipendentemente che fossero cinesi o meno, è bene precisare), prima di poter rientrare nelle scuole. A questi il Governo ha risposto che erano provvedimenti “sproporzionati” e che violavano il “diritto all’istruzione”. Bene. Ora le scuole sono chiuse per tutti, con buona pace del “diritto all’istruzione”. Se prima dici che non vuoi lasciare a casa gli studenti di rientro dalla Cina, e poi fai chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado per una settimana, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

Scelte di questo tipo, come anche quelle che sono state messe in atto “di concerto” con le Regioni interessate una volta che sono scoppiati i focolai, sarebbero anche compatibili con una teoria dello “Stato Minimo” e non hanno destato particolare risentimento nella popolazione, che le accettate. Giuste, anche se con sofferenza, la loro disposizione. Ma se non vuoi fare nemmeno quello che uno “Stato Minimo” potrebbe fare, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

Non è andata meglio nemmeno alla comunità cinese, che aveva chiesto (come a Prato) di poter mettere in atto l’auto-quarantena, insieme agli spazi per farlo. Niente. Nemmeno l’Ancap ti lasciano fare in santa pace. Se non stai a sentire nemmeno quando i tuoi stessi cittadini vogliono mettersi di propria volontà in quarantena, poi non lamentarti se fioccano le critiche.

Come se non bastasse, e come se la situazione lo richiedesse, abbiamo dovuto assistere anche al “battibecco fra Istituzioni”, con il Capo del Governo che prima si dice “sorpreso” dell’impennata dei contagi, scatenando l’ansia della popolazione invece di rassicurarla; poi le minacce di divulgare degli screenshot con cui si voleva dimostrare il silenzio dell’opposizione, come fosse una liceale appena mollata dal fidanzato, fino ad arrivare al Presidente della Lombardia che lascia una video-conferenza incazzato nero perché, sempre il Capo del Governo, avrebbe insinuato che la “colpa” del contagio fosse tutta delle Regioni che non avevano seguito i protocolli. Se fai i richiami all’unità ma poi giochi allo “scaricabarile”, poi non lamentarti se fioccano le critiche. 

Ora vorrebbe pure avocare a sé i “poteri straordinari”(leggi, “i pieni poteri”) delle Regioni per risolvere l’emergenza.

Come è tipico nel nostro ordinamento dello Stato, le competenze non sono mai “chiare” e predeterminate, ma si gioca sul filo dell’incertezza e della “condivisione”, tra competenze “concorrenti” ed “esclusive”, tra sussidiarietà “verticale e orizzontale” e altre “pippe”, sempre disposte di modo che comunque il Governo centrale possa mettere “becco” su tutto, perché in questo Paese si ritiene sempre che “chi sta sopra” abbia la precedenza su “chi sta sotto”, e mai il contrario. Ci voleva in effetti una bella botta di centralismo, a questo punto.

La verità è che le Regioni si sono trovate a “mettere una pezza” all’irresolutezza del Governoe che stanno rispondendo proprio in virtù dell’efficiente “organizzazione tecnica” che gli è stata concessa. Ma è molto più comodo prendersela con il personale medico (che sta facendo un lavoro egregio) o con un ospedale, adducendo che “non sono state seguite le procedure” che lo stesso Ministero della Sanità aveva emanato (e che sembra difficile i medici e i sanitari non osservassero, date le potenziali cause civili e penali in cui incorrerebbero se non seguissero i protocolli) per poi sfruttare l’emergenza allo scopo di avocare a sé i “pieni poteri”: “no al federalismo sanitario”, dicono da Roma. 

Ma, in questo Paese, quello che è straordinario diventa poi ordinario. È quindi un attacco inopportuno che viene mosso alle Regioni che hanno la sanità migliore del Paese perché, primo, il Governo mal tollera che ci sia qualcuno “più bravo” per il semplice fatto che lascia indietro gli altri (e questo non viene mai letto come uno stimolo “agli altri” per fare meglio), secondo, un attacco a due sistemi sanitari regionali che sono gli unici a lasciare un po’ di spazio di intervento alla sanità privata. Tanto più che se i rappresentanti delle due regioni incriminate chiedessero con un referendum ai propri cittadini se vogliono continuare ad avere una sanità gestita da loro oppure da Roma, la loro risposta lascerebbe ben poco margine d’interpretazione. Il Governo si dovrebbe preoccupare di assicurare il coordinamento e le risorse necessarie, far emergere dal dialogo tra amministratori locali quali sono le “best practices”; non certo di sostituirsi a due Regioni che attraverso il proprio personale sono perfettamente grado di gestire la situazione (e che lo stanno dimostrando ogni giorno), né tantomeno di pretendere di sostituirle nel momento in cui decide arbitrariamente che “non sono capaci”.

Non è andata meglio nemmeno sul fronte internazionale: tafferuglio diplomatico con la Cina per il “blocco dei voli diretti” (che poi non è servito a niente); poi, dopo lo scoppio dei focolai, è stato tutto un oscillare tra un “siamo bravissimi a fare i tamponi” e un “gli altri non li fanno”: come se nel resto d’Europa ci fossero altri Paesi in preda al Coronavirus, ma i Governi a Parigi, Londra, Madrid e Berlino se ne fottessero. Mentre la Gran Bretagna ne ha fatti più di seimila, noi siamo arrivati a quattromila, ma solo dopo che è scoppiata l’epidemia e, fino ad allora, ne erano stati fatti solo poche decine. Infine, il caso delle Mauritius, che bloccano un aereo proveniente dall’Italia e ce lo rimandano indietro. E la Farnesina muta. Poi però non lamentarti se fioccano le critiche.

L’Unione Europea, invece di cogliere l’occasione per “mettersi alla testa dell’emergenza”, è invece riuscita nel capolavoro di scomparire come le ciliegie in inverno, trincerandosi dietro le “competenze nazionali”. Not my problem. Per chi vuole portare (ancora) avanti il sogno di un’integrazione europea, questo è il momento di interrogarsi (ed intensamente, molto).

Si può dire, insomma, che al Governo non ne abbiano azzeccata una o che ne abbiano azzeccate poche senza essere additati come “sciacalli”? Finché ci sarà lalibertà di criticare il Governoper quello che fa, allora potremmo dire di vivere ancora in un contesto di libertà e di democrazia.

Dicevamo, ad oggi si contano 528 casi e 14 vittime, vittime però che sono trattate come “numeri” e minimizzandone la tragica sorte: “sono anziani con problemi medici pregressi” o “sarebbero morti comunque”. Sono, prima di tutto, P-e-r-s-o-n-e. Anche qui, i sostenitori dello “Stato forte” (ma anche, in generale, chi lo sta facendo in questi momenti) dovrebbero chiedersi se uno Stato che considera i suoi stessi cittadini come “numeri” stia davvero gettando “ponti d’oro” verso il liberismo… e poi si vuole andare in giro a cianciare di “nuovo umanesimo”. In un Paese che ha sempre più anziani, la questione dovrebbe essere trattata un po’ più seriamente.

Veniamo anche ai “corpi intermedi” che, assieme al Governo, stanno dando prova di incredibile serietà. Netta la distanza che esiste tra politici ed il mondo reale. Tra le varie ospitate cui possiamo assistere in televisione, i politici, abituati ormai solo ai talk show, sono incapaci di parlare a un Paese spaventato e fragile. 

Ma anche i giornalisti ne escono male: sensazionalismo, paure indotte, titoli esagerati. da una parte, la stampa più vicina alla “destra”, tra un “ve l’avevamo detto” e l’altro, e gli appelli preoccupati affinché siano effettuati controlli su chi sbarca fino alla “sospensione di Schengen”, e quella più vicina alla “sinistra”, che se la ride sotto i baffi perché “i contagiati sono tutti italiani e non c’è un cinese” e “ora gli altri ci trattano come noi volevamo trattare i cinesi”… insomma, tra quelli additati di essere degli “sciacalli”da una parte e le “iene ridens” dall’altra, non è che ci si riesca a salvare più che dal Coronavirus. Meglio spegnere il televisore.

Su internet, nel panorama “mematico” generale, che ci tiene compagnia in questi giorni, si è avuto pure il coraggio di “tifare INPS” perché il Coronavirus colpirebbe i “vecchi”, con conseguente sollievo per il nostro sistema pensionistico. Ora, a parte il fatto che non si deve mai “tifare INPS”e che l’INPS vada privatizzato per il nostro stesso bene, data l’incapacità di gestire le nostre pensioni, gli scandali degli “assegni d’oro” lautamente elargiti e la mala gestione del suo vastissimo patrimonio immobiliare, che non viene fatto fruttare economicamente ma viene abbandonato alla “manomorta”, pensare che la dipartita di qualche decina di anziani possa risollevare la situazione del sistema pensionistico italiano è una cosa da pazzi. “Sciacalli” (veri, stavolta).

In ultima analisi, è il Governo che ha alimentato la paura, sia negli italiani che negli altri Paesi (nei confronti dell’Italia). Lo ha fatto sin da quando, con magna superbia, aveva comunicato di aver messo in sicurezza il Paese chiudendo i voli con la Cina, provvedimento (citiamo testualmente) “all’avanguardia”. Gonfiando il petto in quella occasione è come se avessero dato degli scemi a qualsiasi altro capo di Governo in Europa ed in Occidente, che non aveva adottato misure così “draconiane” (ma, a quanto pare, inefficaci). Quando poi sono scoppiati i focolai, il Governo, ancora una volta, invece di stare zitto e lavorare con umiltà, ha nuovamente gonfiato il petto e dato dello scemo e incapace a qualsiasi omologo europeo: “in Italia più contagi solo perché noi abbiamo fatto fare più controlli e tamponi”.

Ora, da un Governo con la G maiuscola, ci si aspetterebbe principalmente che, nella situazione che si è creata, rassicurasse i cittadini, perché l’ansia generale, se non si è già diffusa, almeno venga contenuta. Il Presidente della Repubblica, con dei comuni in quarantena, scuole chiuse, supermercati presi d’assalto, due Regioni in cui la vita è congelata, dovrebbe come minimo apparire in televisione e fare un discorso alla Nazione, rassicurando i cittadini sull’azione di Governo. Niente. Il programma “Chi l’ha Visto?”potrebbe farci una puntata. Il Ministro della Sanità dovrebbe rassicurare anch’egli i cittadini, garantendo che ogni misura è stata presa, spiegandogli in che modo vengono portate avanti e relazionare sui risultati ottenuti. Niente. Silenzio (da venerdì!). Le istituzioni europeedovrebbero anch’esse sostenere un Paese membro che si trova in una momentanea difficoltà, invitando alla calma gli altri Paesi della Comunità e accantonarei particolarismi ed astenersi dall’adozione di provvedimenti che potrebbero danneggiare l’Italia, rassicurando al contempo che le misure, anche in campo economico, verranno messe in campo (soprattutto per il “Day After”, quando la crisi sarà passata). Niente. Ci si limita ad essere spettatori: “speriamo che non succeda anche a me”.

Il Governo dovrebbe rassicurare sul fronte economico che le quarantene o le limitazioni alla vita sociale, per una o due settimane, non avranno un impatto devastante (o che ne avranno uno “minimo”); la situazione economica del Paese lo richiederebbe, dato che già le stime sulla crescita non erano “rosee”, ora è prevedibile che – se la situazione dovesse prolungarsi per due/tre mesi – si assisterà ad un peggioramento, stavolta si, drastico. Invece, chiude tutto, scuole, negozi, teatri, il Salone del Mobile, pure il Campionato… ma poi invita i turisti a venire lo stesso in Italia: “è un paese sicuro”… come puoi essere credibile?

Dovrebbe rassicurare i mercati (ultimamente pare che questi ascoltino più le dichiarazioni dei Governi che il loro portafogli). Invece, niente. I nostri imprenditori vengono lasciati da soli davanti ai clienti internazionali che, anche giustamente, non si fidano se il Governo per primo non da segnali rassicuranti. Questo rende ancor più difficile la loro situazione, perché non hanno più sbocchi a causa della crescente preoccupazione. La paura della crisi economicasi diffonde come un virus, e l’effetto “domino” qui l’abbiamo assicurato.

Ci sono poi i bar, gli artigiani, i ristoranti, i negozianti, le imprese che hanno dovuto chiudere per giorni o che comunque hanno subito dei rallentamenti… il Governo dovrebbe poi mettere in atto una serie di “misure straordinarie”, come l’esonero dai versamenti delle tasse per le zone quarantenate, uno sconto fiscale per gli esercizi commerciali che operano ad orario ridotto in quelle Regioni in cui vigono ordinanze che impongono una limitazione in tal senso, ecc, insomma, tutto quello che serve per non andare ulteriormente a deprimere aree del Paese gravemente colpite dall’emergenza e quelli che stanno fuori (i consumi diminuiscono, ma l’affitto del locale non ti diminuisce, il muto lo devi continuare a pagare, ecc.).

Ma pare che di tutto ciò non se ne farà assolutamente nulla. Anzi, è più probabile che, al termine della crisi, la “vite fiscale” si stringerà ancora di più, con grave danno per l’economia dell’intero Paese: la zona più colpita è il Nord Italia, quella più ricca e produttiva… se il Nord cede, l’Italia crolla.

Si può ancora dire questo senza essere additati come “sciacalli”?

Di fronte alle inerzie del Governo, non ci resta che adottare i comportamenti raccomandati dagli esperti per la protezione individuale. Lavarsi spesso le mani, non toccarsi occhi, naso e bocca, pulire le superfici con alcol e cloro, usare la mascherina solo se si tossisce o si starnutisce per non infettare gli altri (se si è sani non serve) e tanti altri, rispettare le ordinanze dei Sindaci (che per come svolgono il loro lavoro, sono tra gli amministratori pubblici che possono godere ancora di una ampia fiducia da parte della popolazione), rassicurare chi ci sembra spaventato o troppo ansioso ed invitarlo a seguire i comportamenti corretti, parlare delle cose che ci piacciono… affinché, almeno, con i nostri comportamenti individuali, possiamo dimostrare di poter fronteggiare questa “prova” meglio di come stanno facendo le “alte” Istituzioni che ci dovrebbero rappresentare.

Tassare le merendine per finanziare l’istruzione? Ecco l’ennesima bugia a danno di studenti, genitori ed … insegnanti!

La scuola pubblica nel nostro paese versa, di anno in anno, in una situazione sempre più critica. Sono già suonate le campanelle che annunciano il nuovo anno scolastico in tutta la penisola. Nuovo anno ma problemi vecchi. 

Tra precari e supplenti è sempre più emergenza personale. Nonostante le oltre 180 mila assunzioni a tempo indeterminato effettuate negli ultimi 4 anni, anche quest’anno molte cattedre rimarranno scoperte e sarà necessario ricorrere ai supplenti. Si stima, infatti, che vi saranno tra le 150 e le 200 mila supplenze per l’anno in corso. A completare il quadro – non proprio roseo – della situazione della scuola pubblica, si aggiunge una retribuzione media, per docente, inferiore a quella dei propri pari europei. 

Per questi motivi, da molti anni e da più parti politiche, istituzionali e sindacali, provengono pressanti e unanimi richieste di aumento della spesa statale nell’istruzione, che ad oggi si colloca tra le più basse in Europa. Come sempre, in questi casi, il problema è però dove trovare i soldi per finanziare questo aumento di spesa.

La soluzione di ciò si troverebbe nella proposta del nuovo Ministro dell’Istruzione, che appare, ad un primo sguardo, logica ed equa:

Vorrei delle tasse di scopo: per esempio, sulle bibite gassate e sulle merendine, o tasse sui voli aerei che inquinano. L’idea è: faccio un’attività che inquina (volare), oppure ho uno stile di alimentazione sbagliato (merendine)? Metto una piccola tassa, e con questa ci posso finanziare delle attività utili, come la scuola o gli stili di vita più sani.

Il novello “Robin Hood” propone di togliere ai “ricchi” (cioè, oltre alle solite multinazionali che producono il c.d. “junk food” anche i genitori, che comprando le merendine prodotte industrialmente mettono a rischio senza accorgersene la salute dei propri figli) per dare ai “poveri” (cioè agli insegnanti che tengono in piedi il sistema scolastico italiano).

A chi, in fin dei conti, non sembra assolutamente corretto od equo un provvedimento del genere? Limitare l’assunzione di zuccheri e di cibi c.d. “spazzatura” da parte degli studenti e, contemporaneamente, aumentare lo stipendio dei docenti, semplicemente mettendo una tassa sulle merendine … sembra una grande vittoria! Sia per il nuovo ministro che per il governo appena insediato!

Capite bene, però, che ottenere una riduzione dei consumi e, allo stesso tempo, un maggiore gettito per finanziare l’istruzione, sono due cose contrastanti ed inconciliabili tra di loro! L’obiettivo della tassazione su dei beni potenzialmente dannosi per la salute, come le merendine ed i cibi o le bevande zuccherate, è quello di scoraggiarne il consumo tramite un aumento del prezzo. Se questo disincentivo funziona, le abitudini di acquisto dei consumatori si modificheranno, causando una diminuzione delle vendite del bene considerato poco salutare. In sintesi, più il disincentivo ha successo, minori saranno, dunque, le vendite; di conseguenza, il gettito derivante non potrà che diminuire! Ma così, come risultato finale, si avranno per forza meno risorse per finanziare l’istruzione! E non di più, come invece è stato detto.

Insomma, una tassa, magari con un aliquota abbastanza alta che sia in grado di scoraggiare l’acquisto di cibi potenzialmente dannosi, non sarebbe una soluzione alla mancanza di fondi per la scuola, ma l’esatto contrario!

A conferma di ciò, vediamo come nei Paesi in cui questa tassa è stata introdotta, si è verificata proprio la riduzione delle vendite ed il conseguente calo del gettito fiscale.

In Messico, dove questa tassa è stata introdotta nel 2014 con un’aliquota del 10%, si è registrato un calo delle vendite del 6% ed una conseguente diminuzione del gettito.

Nel 2011, nella civilissima e iper-progressista Danimarca, il governo ha introdotto un’imposta sugli alimenti che contengono troppi grassi saturi. Gli effetti sono stati disastrosi. I Danesi hanno iniziato ad acquistare gli stessi alimenti, ma nei paesi confinanti! E, per di più, l’occupazione nel settore è diminuita di oltre 1.000 unità. Il governo è stato quindi costretto a fare retromarcia e a cancellare la tassa.

Dunque, non solo la tassa sul c.d. “cibo spazzatura” non sarebbe affatto utile per aumentare gli stipendi dei docenti, ma rischierebbe, infine, di mettere in difficoltà o addirittura in crisi il settore, danneggiando le imprese ed i lavoratori che operano nel campo della vendita alimentare, oltre che ovviamente le stesse famiglie che, qualora non dissuase dall’aumento della tassazione, si troverebbero a dover spendere comuqnue di più per comprare le stesse cose. Tanto più se si considera che si è deciso di mentire anche agli insegnanti, promettendogli aumenti di salario con un sistema che, come si è visto, va a sottrarre risorse e non ad aggiungerne!

Già nel 1800, Frederic Bastiat ci metteva in guardia da questo tipo di politiche, spingendoci a notare non solo “ciò che si vede” ma anche “ciò che non si vede”. Le nuove leggi non provocano un solo effetto (quello desiderato da chi le promuove), ma una catena di eventi. Il primo effetto è immediato ed è il più facile da valutare; mentre i successivi verranno allo scoperto solo con il passare del tempo. Un bravo “policy-maker”, sia esso ministro, sia esso economista, deve essere in grado di valutare non solamente il primo, il più evidente e manifesto, effetto, ma tutta la catena ad esso conseguente, per stabilire la validità e la correttezza di un nuovo provvedimento.

Troppo spesso ci si ferma all’apparenza, concentrandosi solo su “ciò che si vede” e tralasciando, invece, proprio “ciò che non si vede”. La lezione di Bastiat, circa 200 anni dopo, è più che mai attuale, ed è necessario tenerla a mente, per evitare di essere presi in giro da una classe politica che, troppo spesso, tratta come ‘sudditi’ i cittadini, in questo caso i genitori e gli studenti.

“La Coca Cola me la porto a scuola”?

“La Coca Cola me la porto a scuola”?. Condividiamo questo saggio di un nostro caro amico che ci segue sempre, Giuseppe Portonera, Fellow dell’Istituto Bruno Leoni, pubblicato sul sito dell’istituto #brunoleoni.it.

Le banalizzazioni del ministro dello sviluppo economico sull’educazione alimentare

➡️ Leggi su brunoleoni.it il Focus completo

Di fronte alla platea di Coldiretti, il ministro dello Sviluppo economico, Luigi di Maio, ha detto che: «l’educazione alimentare si deve fare nelle scuole prima di tutto eliminando tutti questi distributori di cibo spazzatura che viene somministrato ai nostri figli» e che è «assurdo che un bambino nel corridoio della sua scuola abbia ancora un distributore di Coca Cola o prodotti non made in Italy». Piuttosto, «mettiamoci un bel distributore di succo d’arancia». 

In questo Focus si fa il punto su tre “facili verità” sollevate da Di Maio: quanto è spazzatura il cibo spazzatura? È vero che dove c’è la Coca cola non ci sono le arance (italiane)? È vero che dove c’è la Coca cola non c’è il made in Italy? 

In verità, c’è un problema di fondo più grande e importante dei termini dell’infelice dichiarazione di Di Maio, che – come chiarito in apertura – è rappresentato dalla banalizzazione del tema dell’educazione alimentare. È un peccato che un argomento così importante sia non solo svilito per il fine di inseguire qualche applauso a una convention o qualche titolo sui giornali, ma anche trattato secondo una direttrice che è facile riassumere in “meno libertà, più obblighi”.

Il “paternalismo” (soft o hard) che i nostri politici esibiscono ogni qualvolta si parla di educazione alimentare è dannoso sotto più profili: a parte il profilo della dubbia efficacia per il miglioramento della salute individuale, l’esempio delle dichiarazioni del ministro Di Maio – che, comunque, è il ministro dello sviluppo economico, non quello della sanità – dimostra che esso può rappresentare una minaccia anche alla crescita (seria e sostenuta) del paese.

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Firma per Abolire il CNEL!

Students For Liberty Italia lancia la petizione per chiedere l’abolizione del CNEL!

Chiediamo una riforma costituzionale che preveda l’abrogazione dell’art. 99 della Costituzione e la conseguente soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (di seguito, Cnel).

Il Cnel si è rivelato un ente inadeguato agli scopi per cui era stato concepito ed è ormai superato: sindacati, associazioni d’impresa e categorie professionali non hanno avuto bisogno del Cnel per far sentire la propria voce e le proprie istanze nei confronti della politica. Ci sono già le interlocuzioni dirette con i partiti, con i governi e con i parlamenti, già partecipano al dibattito pubblico, promuovono campagne, scioperi, manifestazioni, studi, analisi, proposte. Un organo del tutto inutile, ma che è costato circa 1 miliardo di €, dalla sua istituzione ad oggi, e che, ogni anno che passa, costa 19 milioni, stando ai calcoli de “Il Sole 24 Ore”.

Il Cnel è però quella “cosa” che tutti vogliono abolire ma nessuno ci riesce.

Pertanto, Noi chiediamo che l’abolizione di questo organo – rivelatosi inutile e costoso per le ragioni che abbiamo esposto sopra – venga attuata attraverso una “legge costituzionale specifica”, che riguardi solamente il destino del Cnel, e non più (come invece fu nel 2016) nell’ambito di una Riforma costituzionale più larga e complessa. Questo per permettere al Parlamento, qualora la riforma per l’abolizione del Cnel fosse approvata con una maggioranza almeno dei 2/3, di dare seguito a questa richiesta dei cittadini evasa ormai da anni, o, qualora si dovesse tenere un Referendum costituzionale, agli elettori di poter votare e decidere univocamente, una volta per tutte, se questo organo debba continuare la sua esistenza, e non che tale decisione sia legata ai destini di una Riforma costituzionale più ampia.

Un impegno concreto per un obiettivo chiaro!

Una richiesta limitata e precisa, senza i soliti “ricatti” che si sono fatti in passato, del tipo: “Se vuoi abolire il Cnel, devi però votare Sì a tutta la Riforma costituzionale, anche se non ti piace!”

Firma e appoggia questa petizione, noi di Students For Liberty Italia ci batteremo perchè gli elettori si possano esprimere chiaramente e univocamente sulla sua abolizione!

FIRMA LA PETIZIONE su Change.org!