Facile se hai i Corazzieri

La legge sulla legittima difesa passa l’esame del Presidente della Repubblica, che l’ha infine promulgata, contrariamente alle speranze di “molti” che vedevano nel Capo dello Stato l’ultimo argine contro una legge “ingiusta” e “incostituzionale” (a parer loro). Evidentemente la narrazione da questi fatta non si è rivelata corretta e la legge non presenta incostituzionalità talmente marchiane da impedirne la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Nessuna “giustizia-fai-da-te” e nessun “Far West” all’orizzonte quindi. Completamente sconfitto dunque il “fronte” del NO! alla legittima difesa.

Tuttavia il Presidente ha contestualmente inviato una lettera alle Camere in cui esprime alcune osservazioni (alcuni li hanno chiamati dei “dubia”) che potete leggere a questo link

Posto che il linguaggio usato dal Presidente è il tipico che si riscontra in chi esercita le sue funzioni, cioè non da torto e ragione a nessuno, sono presenti alcuni richiami che vale la pena di approfondire. Non ci soffermiamo su alcune garanzie fornite dalla legge per chi si è avvalso della legittima difesa che però non vengono estese al di fuori del domicilio (per esempio se si viene aggrediti per strada), né al reato di rapina. Sono considerazioni di natura “tecnica” che, per competenza, lasciamo ai legislatori, agli operatori ed ai tecnici delle materie giuridiche.

La prima osservazione fatta dal Capo dello Stato è sul rapporto tra le nuove norme e il ruolo dello Stato, che, a detta di “molti”, verrebbe da queste annichilito. Il Presidente scrive correttamente che “Va preliminarmente sottolineato che la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini”. 

L’osservazione del Presidente è abbastanza ovvia e, contrariamente a quello che scrivono i giornali, è una stoccata a chi ritiene che, attraverso la legittima difesa, i cittadini possano sostituirsi allo Stato, con tutto il corredo degli allarmi alla “Giustizia-fai-da-te” e al “Far West” che ne conseguono. 

Tuttavia l’osservazione parte da un presupposto: che il diritto a difendersi sia una “gentile” concessione dello Stato, che ha la “primaria ed esclusiva responsabilità nella tutela della incolumità” e non, com’è in realtà, un diritto vero e proprio. Quindi, non supera la visione statalista e stato-centrica per cui lo Stato è al di sopra del cittadino, che da lui solo discendono le norme che dicono quello che è giusto e quello che è sbagliato, e che, se è concesso difendersi, lo è solo perché lo Stato ammette che puoi farlo: ma ricordati che lo Stato, siccome agisci “in via secondaria e sussidiaria” ad un potere che è il suo, avrà poi il diritto a decidere se lo hai fatto bene o lo hai fatto male.

Invece noi riteniamo che difendersi sia un diritto della persona, dell’individuo in quanto tale, e che solo lo sviluppo della moderna concezione dello Stato, delle teorie della difesa sociale, ha poi finito nell’individuare proprio nello Stato il primario ed esclusivo compito di difendere i cittadini. Ma questo è avvenuto dopo, e non toglie che il diritto a difendere se stessi da una minaccia rimanga saldamente in capo, in prima persona, proprio all’individuo stesso. Altro che in via secondaria e sussidiaria! 

Ecco perché esiste la “legittima difesa” in tutti gli ordinamenti. Proprio perché lo Stato non può difendere tutti in ogni momento, riconosce che, in caso di minaccia, di quell’originario potere di autodifesa – tenuto in sospeso dal generale divieto di farsi giustizia da sé – il cittadino possa riappropriarsi di quel suo diritto e di difendersi, senza temere la reazione punitiva dello Stato, che non ha potuto difenderlo. Se vi piace la teoria del contratto sociale, questa è una evidente clausola di “auto-tutela”. E questo, badate bene, non significa fare “Giustizia-fai-da-te” o il “Far West”, ma semplicemente tutelare la propria esistenza in mancanza della protezione generalmente offerta dallo Stato. 

La seconda osservazione fatta dal Capo dello Stato è sullo “stato di grave turbamento” derivante dalla situazione di pericolo in atto: scrive il Presidente che “è evidente che la nuova normativa presuppone, in senso conforme alla Costituzione, una portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta”. 

Qui il Capo dello Stato è coerente con quanto esposto prima: riassumendo, il Presidente dice che è concesso di difendersi “ma, se puoi, fanne a meno”. E’ evidente la riluttanza dello Stato a “mollare” la possibilità al cittadino di rispondere ad una minaccia, e anche se lo fa, deve ricordarsi che è lo Stato a decidere se ha fatto bene o male. Infatti, chiede che lo “stato di grave turbamento”, qual’è appunto l’ingresso di malintenzionati nella propria dimora, sia ancora una volta dimostrato… dal cittadino che si è difeso… anzi, lo deve dimostrare pure “oggettivamente”. Come se ci fosse bisogno di dimostrare “oggettivamente” che egli abbia avuto paura per l’ingresso dei rapinatori in casa o nel negozio! Sebbene nel nostro diritto gli stati emotivi non escludono né diminuiscono l’imputabilità, nella legittima difesa ciò non vale, in quanto essa vale solo per il fatto di essersi difesi (se stessi oppure altri) da un pericolo.

Una riflessione merita se l’indagine di questo requisito del “grave turbamento” – che il Presidente ritiene debba essere ancora “oggettivo” e che la riforma, invece, mirava proprio a rendere presumibile – debba ancora una volta essere affidato al giudizio di un giudice terzo (che quindi non ha patito quel grave turbamento) e secondo il suo ‘libero convincimento’ (potrà ritenere se ha avuto paura veramente oppure no) e non debba essere, invece, come noi riteniamo, presunto (per ovvie ragioni) e che solo attraverso una prova, un evidenza, “oltre ogni ragionevole dubbio” questa presunzione possa essere messa in discussione. 

Il Presidente rimane quindi agganciato al vecchio “modello”, per cui è il cittadino che, prima, si deve difendere dal delinquente, e poi, dal “giudizio” dello Stato. I suoi “dubia” non risolvono, dunque, il problema che assilla la gestione della legittima difesa nel nostro Paese: processi che, se nella gran parte dei casi, ovviamente, finiscono con l’assoluzione, sono lunghi, costosi, e richiedono uno sforzo psicologico, da parte di chi si è dovuto difendere, non indifferente. 

Riteniamo che un’alta percentuale di assoluzioni non sia sufficiente a giustificare un sistema che tiene per diversi anni sulla “graticola” chi si è trovato nella spiacevole necessità di difendere se stesso o i propri cari, perché i procedimenti penali mettono sempre in gioco i “valori di immensa portata” propri della persona umana, quali la libertà personale, la reputazione e il buon nome. Valori che forse il nostro Stato è disposto a sacrificare anche per lunghi tempi in vista dell’accertamento burocratico, fine a se stesso, ma che sono irrinunciabili per ogni “società di uomini liberi”.

Ricordando che la “vittima”, nei casi di legittima difesa, è sempre chi si difende e non chi ha subito una difesa legittima.

Liberiamo il 25 Aprile!

Il 25 Aprile è la ricorrenza che più divide gli Italiani. Ma la festa della Liberazione, ormai da molti anni, ha perso il suo valore originario e continua ad essere monopolizzata e strumentalizzata sia da quei nostalgici della dittatura nera che fu, sia da quelli che ne hanno sempre sognata una di rossa. 

Fascismo e Comunismo, due facce della stessa medaglia. Fascismo e Comunismo, due diverse declinazioni degli stessi concetti: statalismo, autoritarismo, supremazia dello stato sull’individuo, dei burocrati di stato sulla persona. Fascismo e Comunismo hanno soppresso l’eccezionalità e la specificità dell’individuo, sublimandolo all’interno di concetti vuoti e retorici come lo stato, la nazione, la società. Fascismo e Comunismo sono stati e continuano ad essere, allo stesso modo, causa di guerre, morte e devastazione in Italia, in Europa e nel Mondo, in questo come nel secolo scorso. 

Il 25 Aprile non può e non deve essere una ricorrenza degli uni o degli altri, di una dittatura contro l’altra, ma una festa per tutti gli Italiani che amano la libertà e cercano di ottenerne sempre di più ogni giorno. Il 25 Aprile deve essere la festa in cui si ricordano tutti coloro che, da una parte e dall’altra, sebbene obnubilati dalle ideologie stataliste e dagli autoritarismi, hanno dato la vita combattendo per difendere sé stessi, i propri cari e la propria famiglia prima ancora che la Patria o lo Stato. Senza nessuna distinzione di colore politico o appartenenza religiosa. 

Il 25 Aprile deve essere la festa in cui ringraziamo gli Alleati per essere arrivati in soccorso dell’Italia, ed averci regalato 70 anni di pace e prosperità grazie alle istituzioni democratiche ed al libero commercio. Il 25 Aprile deve essere il giorno della memoria di tutti quelli che hanno dato la vita per la nostra libertà, e non solo di alcuni di loro; si pensi ai partigiani della Brigata Ebraica, che ad ogni 25 Aprile sfilano in corteo perché sentono questa giornata anche come loro, ma che vengono puntualmente presi a male parole, insulti e sputi da quegli eredi dei partigiani che vedono questa ricorrenza come una loro proprietà intellettuale.

Il 25 Aprile deve essere il giorno in cui ricordiamo il male che uno Stato forte, autoritario, che ha il pieno controllo di ogni attività, può fare ad un Paese e a un Popolo. Il giorno in cui ricordiamo i danni creati dalle ideologie collettiviste. In cui ricordiamo che l’unico antidoto al fascismo è la difesa della libertà individuale in tutte le sue forme. 

Perché come diceva Ennio Flaiano esistono due tipi di Fascisti: i Fascisti e gli Anti-Fascisti, non permettiamo a nessuno dei due di prendersi ciò che non gli appartiene, la libertà e la liberazione da ogni forma di autoritarismo.

Speriamo che qualcuno si renda conto del vero valore di questo giorno, così che non sembri che le vite dei nostri nonni siano state sacrificate invano.

[Speciale] Legittima Difesa

“Vim vi repellere licet”, è lecito respingere la violenza con la violenza. Hanno ragione i maestri della cultura classica.

Il brocardo indica semplicemente un’eccezione, di assoluta ragione, al divieto generale di tutela arbitraria dei propri interessi: chi reagisce con violenza alla violenza per difendere un diritto proprio o altrui, non è punibile, purché la difesa sia proporzionata all’offesa: esprime un antico principio di diritto, noto anche come “legittima difesa”. Questa rappresenta un residuo di autotutela che lo Stato concede al cittadini, nei casi in cui l’intervento dell’Autorità non può risultare tempestivo: il fondamento di questa eccezione è oggi quasi unanimemente ravvisato nella prevalenza attribuita all’interesse di chi sia ingiustamente aggredito rispetto all’interesse di chi si è posto al di fuori della legge. 

Come potete vedere la ‘legittima difesa’ non è dunque un diritto di origine, si fa per dire, “salviniana”, ne è stato inventato negli anni duemila da bieche forze del centrodestra di governo, ma affonda le proprie profonde radici nel patrimonio comune della civiltà occidentale. Va benissimo che una o più forze politiche cerchino di ri-valorizzarla e che ogni sforzo in tal senso vada salutato positivamente, ma è irrilevante ai fine della nostra discussione. Non deve esserne il centro. La politica qui non ci interessa.

Come è noto, questo principio di assoluta ragione è saldato nel nostro ordinamento all’art. 52 del codice penale. Ma allora perché è importante oggi parlare di legittima difesa? E perché si è sentito il bisogno di una riforma?

A prima vista parrebbe non esserci alcun dubbio: in Italia è consentito difendersi. Eppure l’opinione pubblica non sembra convinta di ciò, anzi vive la situazione con sempre più insofferenza: il consumarsi di una rapina che, in alcuni casi, sfocia in tragedia, la procura, le indagini, il giudice, il processo a carico di chi si è difeso (quasi sempre per “eccesso colposo di legittima difesa”)… quasi insomma che, in realtà, in questo Paese, sia impossibile difendersi. La verità è che è proprio così! Ti puoi difendere, ma poi lo Stato arriva e ti dice: “Bravo! Ti sei difeso… adesso però fammi vedere se hai fatto bene”.

Cercheremo quindi non tanto di spiegare una riforma, ma di spiegare perché c’è bisogno di un presidio forte a tutela dell’individuo.

Quando lo Stato non assolve il proprio compito, primo ed essenziale, di “guardiano notturno”, è lecito che un cittadino difenda, finanche imbracciando un fucile, la sua proprietà, in particolare dopo aver subito centinaia di furti? La risposta non può che essere, Si! è giusto permettere agli individui di preservare la propria vita e presidiare i propri beni in situazioni di pericolo o in presenza di ripetute vessazioni.

Si può non reagire, certo, si può fuggire, ancor ovvio, ma sono valutazioni che una persona deve prendere in base al proprio convincimento, e non possono queste essere ‘norme universali’ valide per tutti. Chi decide di reagire deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare, e non perseguito per anni per avere esercitato un suo diritto. 

Non si capisce perché si debba preferire chi è stato “vittima” di una reazione difensiva a chi invece di leggi non ne stava violando nessuna, costringendo quest’ultimo ad una maratona giudiziaria per verificare se, a posteriori, abbia fatto bene o meno.

In questi giorni molti media, con dovizia di particolari, stanno riportando come si sono conclusi i processi che sono stati trattati maggiormente in questi anni. Tutti (quasi) assolti: ergo una riforma non serviva. Piano! La gran parte dei processi è finita con un’assoluzione sì, ma, gli stessi articoli, riportano un dato che è ‘IL’ centro del problema: ci vogliono anni, e spese legali non indifferenti, e non per “avere giustizia”, come si dice, ma per vedersi riconosciuta dallo Stato la propria ragione ed il proprio diritto: è una lotta tra individuo e Stato. E questo è un problema: vi sembra poi normale che noi spendiamo tempo e risorse della magistratura per correre dietro a procedimenti che comunque, salvo casi estremi e rari, finiscono con assoluzione? Senza parlare del problema, di non secondaria importanza, per cui un giudice, in base al proprio libero convincimento, possa comunque ritenere, a propria discrezione, che il cittadino non sia rimasto nei limiti della legittima difesa e condannarlo?

Questo perché il nostro codice penale, significativamente firmato da Mussolini, considera il cittadino un suddito, e quindi gli pone i limiti entro i quali si può difendere. Mentre un codice liberale dovrebbe ragionare in modo opposto: chiedersi entro quali limiti lo Stato abbia il diritto di punire chi si difende da un’aggressione che lui, Stato, non è riuscito a impedire.

La difesa è quindi “sempre legittima”? Si lo è, ma in quanto “legittima”. Questo significa che anche la norma più ampia sulla legittima difesa non consentirà mai alla vittima dell’aggressione di recuperare con la violenza la refurtiva in casa del ladro, e nemmeno di potergli sparare alle spalle se scappa in strada con il televisore o per farlo desistere dal rubare la frutta sugli alberi. Queste sono le preoccupazioni che vengono instillate da chi ci vorrebbe tutti inermi e impossibilitati a reagire: ma sono preoccupazioni senza fondamento, perché la “legittima difesa” contempla il caso di chi si oppone ad un’ingiusta aggressione in atto (è l’attualità del pericolo), sull’ingiustizia dell’offesa, sulla necessità di una reazione. In questo costa la vera essenza della ‘proporzionalità’. Questo principio vale in tutto il mondo civile e continuerà, naturalmente, a valere anche da noi anche dopo l’approvazione della riforma. 

La difesa legittima non è dunque un via libera ai giustizieri!

Legato, ma non direttamente, al tema della legittima difesa è il tema della armi. Ora, la legittima difesa si può esercitare anche con mazze, ramazze, mani e piedi, ovvio, ma allora perché quando si parla di legittima difesa, inevitabilmente, si finisce poi a parlare quasi ed esclusivamente di armi? Semplicemente perché queste sono ritenute, di gran lunga dalla maggioranza delle persone, come i mezzi più efficaci per difendersi. Ma la congiunzione dei due temi finisce qui. L’ampliamento della possibilità o delle restrizioni al tema delle armi non è direttamente collegato alla legittima difesa: certo, potrà spaventare più di qualcuno, ma usarlo per negare il diritto alla difesa legittima è sbagliato. Sono due temi diversi. Chi si dice in favore delle libertà non ha problemi a dirsi favorevole sia all’uno che all’altro tema. Porteremo, dati alla mano, le motivazioni a favore e sfateremo qualche mito. Avremo modo di approfondire il tema.

In ultima battuta, ma non meno importante, guardando all’esperienza americana dei liberali, essi hanno saputo trovare un tema che li unisce tutti. La difesa del II emendamento. Parleremo anche di questo. Certo noi in Italia una disposizione simili non l’abbiamo, ancorché di livello costituzionale, ma allora perché non trovare proprio nella legittima difesa e nel legittimo possesso di armi, anche qui in Italia, un qualcosa che ci unisca tutti? Perché la legittima difesa e il legittimo possesso di armi non dovrebbero essere il nostro “II emendamento” dopotutto?