Salario Minimo Salario Finto

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Salario Minimo Salario Finto

In Parlamento si sta discutendo, in questi giorni, di un disegno di legge con cui si vorrebbe introdurre un salario minimo. Una proposta che, nel corso degli ultimi anni, è stata avanzata dalla quasi totalità dei partiti che occupano l’arco costituzionale e su cui c’è, dunque, un consenso diffuso, sia a destra che a sinistra. Ma se migliorare le condizioni salariali dei lavoratori è così semplice, come mai non ci abbiamo mai pensato prima?

Evidentemente perché non è poi così semplice, come viene propagandato dai politici e dagli opinionisti.

Cerchiamo di capire nel dettaglio quali sono i problemi. Il più evidente è che (secondo la teoria generale dell’economia) nel momento in cui le imprese vengono obbligate a pagare di più i propri dipendenti, si ha un aggravio sui costi che è immediatamente trasferito sia sui prezzi di ciò che si vende, sia sul profitto delle imprese.

Quindi, si creano difficoltà economiche sia per i consumatori (tra cui figurano anche, e proprio, i dipendenti stessi delle imprese) che si ritrovano a dover comprare beni a prezzi più alti rispetto a prima, che per le imprese stesse, che si trovano a guadagnare di meno e quindi ad avere meno possibilità di compiere nuovi investimenti o assumere più dipendenti. Insomma, ci perdono tutti!

Ma non è vero! (dicono). I lavoratori ora hanno più soldi, dunque ci hanno guadagnato! Ma non funziona proprio così: è vero che guadagnano di più, ma se nel contempo sono aumentati anche il valore dei beni che prima acquistavano a minor prezzo, la loro situazione non cambia! Si torna al punto di partenza, anzi, come vedremo, in una situazione pure peggiore rispetto a quella iniziale. Perché?

Perché fissando un salario minimo, per legge, si tagliano fuori dal mercato del lavoro “legale” tutte quelle persone il cui lavoro – per diversi motivi (istruzione, formazione, fascia di età,…) – vale meno di quello che è il minimo fissato. Tutte queste persone avranno molta più difficoltà a trovare lavoro – specialmente in un Paese come l’Italia, dove già ora trovarlo è una “mission impossible”. Ma non solo, poiché a questa larga platea di persone si aggiungeranno coloro che, per evitare maggiori costi per le imprese, saranno licenziati.

E, attenzione, perché se il salario minimo è fissato arbitrariamente troppo in alto, alle aziende converrà investire in automazione e lasciare quindi a casa ancora più dipendenti (si veda la sostituzione di lavoratori con i totem, come potete vedere quando andate nei fast food dopo l’ennesima manifestazione per i diritti dei lavoratori).

Parlando in termini più accademici, il governo crea – attraverso l’introduzione del salario minimo – un monopolio che esclude dal mercato la concorrenza dei lavoratori meno specializzati o meno fortunati, che sarebbero in grado di fornire il proprio contributo lavorativo solo ad un prezzo minore rispetto a quello imposto dal monopolio legale.

Non bisogna dimenticare, infatti, che, sebbene l’opinione pubblica non lo abbia mai realmente accettato, il mercato del lavoro funziona come tutti gli altri mercati: ci sono una domanda ed un’offerta che, senza interferenze, oscillano continuamente cercando un proprio equilibrio. L’introduzione di un salario minimo diminuisce la domanda di lavoro (da parte delle aziende) e aumenta irrimediabilmente l’offerta di lavoro (da parte della popolazione) senza creare alcun equilibrio e con le ovvie conseguenze negative supra descritte.

Conseguenze che non si concludono qui: per combattere la disoccupazione che egli stesso ha creato, il Governo dovrà aumentare le prestazioni sociali, quali sussidi di disoccupazione o redditi di cittadinanza assortiti, andando ad aumentare la spesa pubblica e, di conseguenza, il debito e/o la pressione fiscale, per non parlare della dipendenza dallo Stato di una sempre maggiore fetta della popolazione.

Una prova empirica di ciò che sosteniamo viene dalla Città di New York dove, negli ultimi mesi, l’introduzione di un salario minimo ha provocato la recessione del settore ristorativo: si lavora per meno ore, tanti dipendenti sono stati licenziati ed il prezzo dei pasti è aumentato notevolmente, danneggiando maggiormente le classi dei meno abbienti. Come dice il proverbio: “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”… e la politica ne è piena.

Ciò che manca disperatamente è un Frédéric Bastiat che ci ricordi che ogni azione ha due conseguenze: “ciò che si vede e ciò che non si vede”. Detta più tecnicamente, bisogna saper valutare le conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali (l’eterogenesi dei fini).

L’unico modo sano per aumentare i salari è far sì che più persone abbiano accesso ad un lavoro – eliminando barriere come il “contratto collettivo nazionale”, le certificazioni, i patentini e le iscrizioni ad albi vari, oltre a superare la rigidità contrattuale – e che le imprese aumentino la loro produttività – e possono farlo solo se le si lascia libere di conseguire più profitti.

Ma i governi ed i sindacati italiani loro amici, negli ultimi 35 anni, hanno fatto tutto il possibile per ottenere l’effetto contrario e, purtroppo, difficilmente nel prossimo futuro ci sarà chi vorrà fare qualcosa per ribaltare questa situazione. Anche perché significherebbe diminuire di molto l’intervento statale nell’economia, un’idea spesso avversata anche da una buona maggioranza dell’opinione pubblica. Ma la strada per migliorare la nostra situazione economica passa solo dalla libertà, nostra e di chi ci circonda.

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