L’Anticapitalismo sul terreno dei Campus americani: una guerra in cui si gioca sporco

di Rainer Zitelmann su Forbes.com

Non è una novità che politici dichiaratamente anticapitalisti come Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez abbiano un gran seguito tra gli elettori più giovani. “Bernie Sanders ha guadagnato più voti nella fascia degli elettori under 30 che la Clinton e Trump messi insieme”, fa notare Wolf von Laer, l’Amministratore Delegato dell’organizzazione libertaria Students For Liberty.

Diversi sondaggi hanno mostrato come molti giovani americani, chiamati ad esprimersi su quale sistema reputassero essere il migliore tra quello capitalista e quello socialista, abbiano preferito quest’ultimo, indipendentemente dalla definizione che ne danno. E se ci fosse un legame tra il loro rifiuto del capitalismo e l’ambiente in cui studiano?

La proporzione tra professori liberal e conservatori è di 12 a 1.

Come scrive un ex-membro di Students For Liberty, Robby Soave, nel suo ultimo libro (Panic Attack. Young Radicals in the Age of Trump): “La maggior parte delle persone sa che i professori sono generalmente più ‘sinistrorsi’ dell’americano medio, ma ciò di cui probabilmente non si rendono conto è che moltissimi tra loro insegnano le proprie discipline applicandovi i metodi della ‘teoria critica’, quando non addirittura da una prospettiva manifestamente marxista”. Per quanto non vi siano dati recenti ed affidabili che ci permettano di misurare fino a che punto il socialismo si sia radicato nel sistema educativo americano, Soave cita uno studio del 2007 secondo il quale sebbene solo il 3% del totale dei docenti universitari si definisca marxista, in alcune discipline, come ad esempio la sociologia, si arriva ad un professore su quattro.

Il Dott. Wolf von Laer si rifà invece ad una ricerca della National Association of Scholars, una non profit che si occupa di temi relativi all’istruzione superiore, dalla quale emerge che il 40% dei migliori atenei umanistici non ha nemmeno un docente repubblicano, aggiungendo che: “se guardiamo invece ad uno studio condotto da ricercatori del Brooklyn College e della George Mason University, pubblicato dall’Econ Journal Watch, il rapporto tra il numero dei professori e dei ricercatori liberal rispetto ai conservatori è di quasi 12 ad 1, che a seconda del tipo di insegnamento può arrivare addirittura a 33 ad 1, come nel caso delle facoltà di scienze storiche.”

Tutta colpa della situazione economica degli studenti

Secondo Robby Soave, l’influenza dell’ambiente universitario è un fattore importante ma non cruciale, dato che “molti attivisti si radicalizzano ancora prima di immatricolarsi”. Il fattore discriminante sembrerebbe piuttosto essere la situazione economica in cui gli studenti vengono a trovarsi nel momento in cui completano gli studi, cioè quella di dover ripagare all’Università un debito ingente a fronte di scarse possibilità di carriera, che riguarda soprattutto i laureati in materie umanistiche, in psicologia, arte, e discipline affini. Come spiega Soave, la condizione che questi laureati si trovano a dover fronteggiare non risulta essere peggiore di quella in cui verserebbero se avessero deciso di non continuare gli studi e avessero cercato un impiego subito dopo il diploma, perché non solo si sarebbero ritrovati in una situazione migliore dal punto di vista economico, ma non avrebbero nemmeno avuto l’onere di sostenere gli alti livelli di debito comportati dai prestiti universitari.

Come prosegue Wolf von Laer, “La generazione Z e i millennials votano i politici che promettono università e sanità gratuite”, e siccome si tratta di posizioni spesso associate al “socialismo” da coloro che si collocano politicamente più a destra, molti giovani decidono di esprimere il loro dissenso ostentando la loro adesione al “socialismo”, come a voler lanciare una provocazione. Ovviamente quelli che tra loro aspirano veramente a stabilire un sistema socialista come quello che abbiamo visto in Unione Sovietica o nei paesi del blocco orientale non sono che una minoranza, mentre la maggior parte guarda invece al “modello scandinavo”, sull’esempio svedese o danese, identificando la società dei loro sogni con quella di paesi di cui in realtà sanno molto poco. “Al tempo stesso, infatti, Svezia e Danimarca figurano insieme agli stessi Stati Uniti tra i 20 paesi più capitalisti al mondo secondo l’Index of Economic Freedom, ma molti ragazzi questo non lo sanno”.

Wolf Von Laer e Students For Liberty tentano appunto di contrastare il radicamento dell’anticapitalismo nelle università americane. “Facciamo del nostro meglio proprio per cambiare questa situazione. Durante lo scorso anno accademico abbiamo avuto oltre 34.000 partecipanti ai nostri eventi, e questo solo negli Stati Uniti. Il nostro scopo è quello di formare i futuri difensori della libertà, cosicché gli argomenti a sostegno di una società più libera e tollerante abbiano delle figure pronte a rappresentarli nei media, nel mondo degli affari, in politica, e nel mondo delle arti e della cultura.”

Capitalismo? Sì, grazie. Il punto di vista dei giovani nei paesi in via di sviluppo

È interessante notare come i giovani asiatici, africani e latinoamericani abbiano una disposizione molto più positiva nei confronti del capitalismo rispetto ai loro coetanei statunitensi. Forse questo può essere dovuto almeno in parte al fatto che negli ultimi trent’anni la globalizzazione capitalista ha dato a più di un miliardo di persone gli strumenti per riemergere dallo stato di povertà assoluta in cui vivevano, soprattutto in Asia. “Mentre i giovani americani si concentrano soprattutto sui loro problemi economici e si scagliano contro l’aumento delle disuguaglianze in patria, molti ragazzi in Asia, Africa e America Latina si accorgono anche delle opportunità che il capitalismo gli offre”. Come fa notare Wolf von Laer: “tra i nostri membri, ad esempio, la passione con cui i più giovani difendono il capitalismo è spesso più forte nelle regioni in via di sviluppo. Abbiamo avuto un enorme afflusso di aderenti in Africa, Sudamerica, e soprattutto in Brasile, dove i nostri studenti hanno persino organizzato e capitanato cortei di protesta che hanno portato oltre 200.000 persone a sfilare per le strade del paese. Questi ex-studenti oggi siedono nelle assemblee legislative statali, e qualcuno, come Marcel van Hattem, anche al Congresso Nazionale del Brasile, mentre un altro dei nostri laureati ha anche scritto una proposta di legge che limiterà l’influenza dello stato brasiliano, e che secondo le stime dello stesso governo porterà alla creazione di 3,5 milioni di posti di lavoro nei prossimi 10 anni. È stata approvata nell’ottobre dell’anno scorso.”

Nelle Università americane, nel frattempo, gli studenti di sinistra e di destra spesso si scontrano – coi libertari pro-mercato che finiscono spesso sotto il fuoco incrociato. “L’egemonia della sinistra negli ambienti universitari ha provocato una reazione da parte del populismo di destra in molti paesi, cosa particolarmente manifesta proprio negli Stati Uniti. In questa guerra, insomma, si gioca sporco: l’insulto, la gara a chi strilla più forte, la derisione e le ‘invettive mematiche’ sono diventate una normalità che deteriora il confronto civile, con a seguire tutto il corollario di conseguenze negative che ciò comporta sulla libertà di parola – termine che diventa sempre più impopolare man mano che se ne diffonde l’abuso attraverso l’aggressività e il cattivo gusto”.

In questo scenario – e di conseguenza – lo scontro in atto nel campo di battaglia delle Università americane tra studenti “pro-mercato” e “socialisti” non può che diventare sempre più aspro.

Game of Thrones mostra i problemi del potere centralizzato

La serie televisiva ci consente di vedere ciò che accade quando degli esseri umani, ovviamente imperfetti, si contendono lo scettro del comando in una situazione di vuoto di potere e quello che accade, poi, quando essi conseguono il loro obiettivo. In Game of Thrones si vede come nessun singolo personaggio sia adatto a sedere sul Trono di Spade, la cattedra del potere assoluto, così come, egualmente, nessun personaggio, o coalizione, sia adatto ad essere al vertice di un governo centralizzato. La conquista del trono, di volta in volta, da parte di ciascun personaggio, mostra il problema ciclico della politica quando ha a che fare con il potere centralizzato, cosa che, nel mondo reale, sia l’autoritarismo che il socialismo non sono riusciti ad affrontare.

Il problema del Male

È sufficiente scegliere uno qualunque dei personaggi dello show ed il problema della loro inadeguatezza diventa evidente. Iniziamo con degli esempi.

L’adolescente Joffrey Baratheon, che ha seduto sul trono per qualche stagione, era letteralmente un sadico.

Sua madre, Cersei Lannister, che sale al trono dopo la morte di tutti i suoi figli, non è certo migliore: la trappola esplosiva con l’alto fuoco, preparata al Tempio di Baelor, uccide tutti i suoi rivali ma, assieme, anche centinaia di innocenti (compreso, il suo ultimo figlio rimasto, Tommen, che si suicida per la perdita dell’amata, anch’essa nemica di Cercei). Cercei, inoltre, spinge il fratello Jamie Lannister, con il quale ha una relazione incestuosa, a buttare giù dalla torre il giovane Brandon Stark per averli scoperti, per caso.

Il principe Viserys Targaryen – alla morte del cui padre, il “Re folle”, dovette fuggire da Westeros e rinunciare al potere – accecato dall’arroganza e dalla brama di riconquistare il trono perduto, arrivò a promettere a sua sorella Daenerys che avrebbe consentito ad un intero esercito di abusarne se questo voleva dire riconquistare la sua legittima pretesa.

“Quando è posto in una posizione di assoluta autorità, ogni uomo o donna è soggetto alle stesse inclinazioni egoistiche che muovono ciascuno di Noi.”

Questi sono solo alcuni dei personaggi più crudeli e cattivi dello show, ma essi non sono i soli ad essere caratterizzati dalle iperboli tipiche dei tiranni. Nel corso della storia, quando anche altri personaggi assumono una posizione di assoluto potere, compiono anch’essi genocidi, assassinii e torture.

Le teorie sulla natura corruttrice del potere sono innumerevoli, ma rimane centrale per ciascuna l’imperfezione congenita dell’essere umano. Quando viene posto in una posizione di autorità, ogni uomo o donna è soggetto alle stesse inclinazioni egoistiche e alla paura di perdere il potere che ci contraddistinguono tutti. Questi difetti portano la anche la persona media ad intraprendere azioni di dubbia morale durante il corso della propria storia; ma quando il potere è centralizzato, la capacità di un tiranno di danneggiare gli altri diviene moltiplicata.

In breve, gli esseri umani sono imperfetti e, come possono mostrare altri esempi, anche gli uomini più virtuosi, alla fine, soccomberanno alla propria natura.

Jon Snow e il problema della Rappresentatività

Il “Re del Nord” è il protagonista centrale dello spettacolo ed il miglior candidato a seguire questa regola. Jon Snow agisce come il prototipo di eroe fantastico, un abile combattente ed un leader naturale. Possiamo dire che assomiglia ad un “politico ideale”. Combatte per i bisogni della sua gente e, stando alle sue parole, rifugge le prospettive del governo.

Nella sua provincia è un buon Signore, in grado di soddisfare la maggior parte delle richieste dei suoi sudditi. Ma il castello è piccolo, il suo popolo non è molto numeroso ed è disperso nelle vastità del Nord. Solo una minaccia imminente per il suo popolo, gli “Estranei”, lo mette a capo di un sistema centralizzato, seppur per la sopravvivenza. Diverso sarebbe se fosse stato seduto il Trono di Spade: sarebbero inevitabilmente sorti interessi molteplici e contrastanti e, nonostante il suo onore, Jon non sarebbe stato in grado di soddisfarli tutti.

Tornando al mondo reale, in “The Road to Serfdom”, Friedrich von Hayek scrive che in qualsiasi sistema centralizzato, “le opinioni di qualcuno dovranno decidere quali sono gli interessi più importanti”. In un piccolo Stato, in cui la cultura e le opinioni sono coerenti in tutto il territorio – come il Nord di Jon Snow – gli interessi contrastanti sono pochi.

Ma anche come Signore gli interessi personali di Jon entrano più volte in conflitto. Durante la Battaglia dei bastardi, ad esempio, il suo avversario Ramsey Bolton crea una sadica trappola per mettere Jon davanti ad una scelta: scegliere se salvare la vita di suo fratello o se rispettare un piano di battaglia ben congeniato. Pertanto, esattamente come Jon alla fine preferisce anteporre i bisogni della sua famiglia (i pochi) rispetto alle esigenze dei suoi alleati (i molti), allo stesso modo inevitabilmente i politici, in un sistema centralizzato, devono scegliere di privilegiare i bisogni di un gruppo o il bisogno di un altro a loro più prossimo. Gettatosi quindi in una decisione avventata, alla ceca, è solo per un intervento esterno ed inatteso, cioè l’arrivo dei Cavalieri della valle, che riesce a vincere la battaglia.

Al vertice di un governo, centrale come federale, tuttavia, è impossibile soddisfare una domanda senza calpestarne un’altra: i bisogni delle imprese rispetto alle preoccupazioni ambientali, l’equilibrio tra le preferenze educative di un gruppo culturale rispetto ad un altro, l’allocazione di fondi per le condizioni di svantaggio sociale più disparate. Sono tutte contrapposizioni che nessun governo unico centralizzato potrebbe gestire. Pertanto, come Jon ha preferito la famiglia piuttosto che i suoi alleati, i politici di un qualunque sistema centralizzato daranno priorità ai bisogni di un gruppo o di un singolo.

Daenerys e il problema dell’Autorità

Se Jon Snow è un “politico ideale”, Daenerys Targaryen è una “combattente per la libertà”. I suoi obiettivi sono nobili, come liberare la Terra dalla schiavitù o distruggere “la ruota” del potere a Westeros. A differenza di Jon Snow, rifugge dalle decisioni avventate e, salvo eccezioni, non decide senza prima essersi consultata con i suoi consiglieri. Tuttavia, non importa quanto siano nobili i suoi scopi, la sua inclinazione autoritaria è evidente.

Più volte, nel corso della serie, si affida alla forza distruttrice dei suoi draghi e al suo sempre più numeroso esercito per uccidere sì i potenti schiavisti, ma anche coloro che si rifiutano di inginocchiarsi ai suoi piedi.

Se nel Giulio Cesare di Shakespeare, mentre riflette sulla sua decisione di uccidere il sovrano, Bruto medita su come Cesare, una volta incoronato, avrebbe cambiato la sua natura, per Dany la domanda è: “cosa succede quando la schiavitù è stata abolita e lei – come Jon Snow – si ritrova di fronte a sfide eticamente ambigue?

Di volta in volta, in nome della libertà, ha bruciato vivi dei personaggi, comandato al suo esercito di macellare i nobili e di conquistare città. Ma anche di fronte alla questione, relativamente insignificante, se Jon Snow intenda o meno inginocchiarsi, ella gli ricorda, ancora una volta, dei suoi draghi. All’inizio della serie combatteva per i diritti individuali; nella sala del trono a Roccia del Drago, di fronte a sfide più complesse, la vediamo combattere invece per mantenere ed espandere il proprio potere.

La domanda che ci dobbiamo porre nel mondo reale è: “che cosa accade quando il potere centralizzato affronta questioni di Stato più piccole? Questioni come le prestazioni sociali, l’educazione o persino chi deve fare una torta?

Quindi, passando dal problema di rappresentatività ad uno di forza, una volta che la decisione è presa, la forza diventa lo strumento per raggiungere l’obiettivo.

Eddard Stark

Persino Ned Stark, il cui unico difetto apparente è la sua cieca dedizione all’onore, sarebbe incapace di governare. Forse vi sarebbe riuscito in un piccolo Stato (come il suo Nord) nel ruolo di un regnante quasi simbolico, rassegnato ad amministrare la giustizia e a dichiarare la guerra; tuttavia, se Ned Stark avesse tentato di gestire la politica o l’economia dei Sette Regni, si sarebbe presto trovato al di fuori della sue capacità.

Friedrich von Hayek ha affrontato spesso il problema posto dalla complessità. Nel suo saggio “The Use of Knowledge in Society”, scrive:

“È proprio perché ogni individuo sa poco e, in particolare, perché raramente sappiamo chi di noi sa, che è meglio che ci fidiamo degli sforzi indipendenti e competitivi di molti per indurre l’emersione di ciò che vorremmo, quando lo vediamo.”

Qualsiasi individuo, o anche un solo organo direttivo, è incapace di possedere le conoscenze necessarie per gestire un’intera società. Infatti, come non esiste un unico sistema di copertura, pubblica o privata, che possa soddisfare le diverse esigenze sanitarie di un’intera popolazione, non esiste un curriculum scolastico che istruisca adeguatamente ogni studente in una nazione variegata (per etnia, lingua, ecc…), non esistono sistemi di regolamentazione che, applicati in un Paese, possano proteggere in modo più efficace il consumatore, mantenendo al contempo la più completa libertà dell’industria di innovare e di produrre.

La Soluzione

Ci sono tre problemi quindi:

  1. Di fronte ad interessi contrastanti, un governo centralizzato dovrà favorire l’uno rispetto all’altro.
  2. Una volta presa la decisione, la forza diventerà l’unico strumento per raggiungere quell’obiettivo.
  3. Ma, anche in questo scenario ideale, qualsiasi governo centralizzato non sarebbe comunque in grado di prendere perfettamente ogni decisione e di agire in base ad ogni esigenza che si presenterà.

A questi tre problemi, un sistema capitalista può fornire delle risposte.

In risposta a questo ‘problema di comprensione’ Hayek fornisce la risposta in “The Road to Serfdom”, scrivendo che:

“Gli sforzi spontanei ed incontrollati degli individui [sono] in grado di produrre un ordine complesso di attività economiche.”

Con il processo decisionale esteso ad ogni individuo, sia acquirente che venditore, la popolazione può prendere collettivamente tutte le decisioni necessarie per raggiungere i fini ideali che si prefigge.

Per Dany, la domanda era: “Cosa succede quando la schiavitù viene abolita e lei, come Jon Snow, si ritrova di fronte a sfide eticamente ambigue?” Per quanto riguarda l’uso della forza, a differenza di Daenerys, quando il potere si estende ad innumerevoli produttori ed acquirenti, la Società inizia da sola a dirigere i propri obiettivi e le proprie preferenze; le persone possono “votare con il loro portafoglio” per sostenere un settore, oppure per chiuderlo, costringendo così le industrie a rimanere attente ai bisogni degli stessi consumatori.

I desideri conflittuali di Jon Snow non possono mai essere soddisfatti da uno Stato centralizzato. Tuttavia, laddove i piccoli organi di governo mantengono il potere, un sistema federalista può soddisfare meglio le richieste locali e culturalmente coerenti con (approssimativa) fedeltà.

Infine, il capitalismo non nega il problema del “male”, ma nel diffondere l’autorità ed il potere, offre sicuramente sufficienti controlli e bilanciamenti contro lo stesso.

Ci sono quattro problemi che ognuno dei personaggi che abbiamo citato pone: il problema del male, il problema degli interessi contrastanti, il problema della forza ed il problema della conoscenza.

Autoritarismo e Socialismo non saranno mai adatti a soddisfare tutti e quattro. Un sistema capitalista e di small government invece può.