Arrestato Julian Assange: un eroe ma non per tutti

Un figlio, un padre, un marito. Vincitore di decine di riconoscimenti per la sua attività giornalistica. Nominato al Premio Nobel per la pace ogni anno, a partire dal 2010, per la sua attività di informazione e trasparenza. Parliamo di Julian Assange. Grazie a lui, Wikileaks ha pubblicato 250.000 documenti riservati del governo statunitense, denunciando lo spionaggio dei leader stranieri, lo spionaggio contro l’ONU, così come le intenzioni americane nei confronti del Medio Oriente e di altre parti del Mondo ed i crimini di guerra compiuti in Iraq e Afghanistan e tenuti nascosti dal Segreto di Stato.

Un eroe, ma non per tutti. Vistosi piovere addosso denunce di tutti i tipi e capi, nel 2012 Assange si è rifugiato presso l’Ambasciata dell’Ecuador, a Londra, chiedendo ed ottenendo l’asilo politico. Già nel 2016, in ogni caso, l’Arbitrato del Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria aveva decretato che la sua permanenza forzata nell’ambasciata ecuadoregna era da considerarsi appunto come detenzione arbitraria ed illegale da parte di Inghilterra e Svezia (che richiedeva l’estradizione per una denuncia, rivelatasi poi infondata, di stupro). Pur avendo ottenuto la cittadinanza ecuadoregna nel 2018, Assange si è visto revocare l’asilo del Paese nei giorni scorsi e, nella mattinata di ieri, alcuni agenti inglesi, sotto copertura, hanno fatto “irruzione” nell’Ambasciata prelevandolo di forza e portandolo via all’interno di un furgone della polizia. 

Per il momento non sembra sia stato richiesto il suo arresto per crimini legati all’attività di divulgazione giornalistica o di spionaggio, ma per la sola accusa di aver hakerato un server governativo americano con la complicità di Chelsea Manning (ex-militare statunitense transessuale che avrebbe fornito la chiave per aggirare il blocco) e quindi di aver violato la ‘Computer Fraud and Abuse Act’ (CFAA), una legge contro gli hacker e le violazioni informatiche del 1986, e quindi, in sostanza, gli viene contestato il modo in cui tali documenti, poi pubblicati, sono stati ottenuti. 

Ma, al di là delle accuse formali, c’è il fondato timore che gli possano essere contestate, una volta estradato, anche azioni che non solo non sono illegali, ma sono addirittura essenziali per la libertà di stampa (proteggere l’identità delle fonti, per esempio) sfruttando l’Espionage Act (la legge contro lo spionaggio americana, ndr) e che quindi possa rispondere per accuse che solo la più bieca applicazione della Ragion di Stato può giustificare. Inoltre, rimane il problema, il ‘pericolo constante’ da non sottovalutare, che la CFAA possa essere impugnata come arma contro chiunque pubblichi informazioni riservate, e che non ci sia poi alcuna garanzia che non venga in futuro applicata ai rapporti giornalistici più tradizionali, in nome della Ragion di Stato.

Ciò che è successo ieri è comunque, come la si pensi, una grave colpo alla libertà d’espressione, della libertà di diffondere notizie, della libertà di combattere le ingiustizie; crea un pericoloso precedente: chiunque sveli una qualunque Verità sull’operato di un governo rischia di vedersi negati i più semplici diritti umani e di subire processi e pene ingiuste. In altre parole, è un crimine diffondere delle prove sui crimini compiuti da chi agisce per conto di un governo o dell’interesse nazionale e poi coperti dalla Ragion di Stato?

Ora Assange, nonostante le rassicurazioni del Governo britannico ed ecuadoregno, potrebbe rischiare comunque l’estradizione negli USA, che ne ha richiesto l’arresto e dove è prevista la pena di morte. Anche se per la violazione di sistemi informatici e la sottrazione di documenti governativi sia prevista una pena massima, se venisse confermata la condanna, pari a cinque anni di carcere, non c’è ancora nessuna garanzia che non possano essergli mossi altri addebiti. Infatti, proprio il legale di Assange ha spiegato come lo US Department of Justice stia cercando di superare i termini della prescrizione del reato ascrittogli, invocando una sezione che classifica l’hacking come atto di terrorismo.

Non possiamo e non dobbiamo permettere che succeda! C’è da sperare che il sistema della Giustizia degli Stati Uniti conservi i saldi principi su cui basa il proprio sistema giudiziario, dal giusto processo all’elevato grado di certezza della prova richiesto dall’oltre ogni ragionevole dubbio per la condanna, e che non li ‘sacrifichi’ in nome di una ‘Ragion di Stato’ che, nel 2019, non ha più diritto di cittadinanza nelle democrazie occidentali. E ci auguriamo, soprattutto, che TUTTI i giornalisti si schierino dalla sua parte e facciano sentire la propria voce. #FreeAssange #DefendAssange

Richiamiamo l’Art. 3 della ‘Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, ratificata dal Regno Unito nel 1988:

“No State Party shall expel, return (“refouler“) or extradite a person to another State where there are substantial grounds for believing that he would be in danger of being subjected to torture”.

Le Tasse Aeroportuali

Oggi vogliamo parlare di un argomento che, sebbene tocchi sempre più persone da vicino, non viene mai affrontato, se non in rarissimi casi: le tasse aeroportuali. Ne parliamo perché arrivano ad incidere su più del 70% del prezzo di un biglietto aereo. Ma perché sono così elevate? E quali voci sono comprese?

Partiamo dall’inizio. Se, dopo aver comprato un volo, avete dato un’occhiata al dettaglio dei costi, vi sarete accorti che la cifra finale è divisa in due sezioni: la “tariffa del volo” vera e propria e, per l’appunto, le “tasse aeroportuali”. Se per la tariffa non ci sono dubbi, in quanto è il vero e proprio costo del ticket – applicato dalla compagnia aerea – il cui prezzo è certo e determinato, non si può dire lo stesso per le tasse aeroportuali, instabili e fluttuanti, che dipendono da numerosi fattori.

Le voci più “imponenti” di queste ultime sono rappresentate dal “YQ”: ovvero il Codice unico per i ‘costi di sicurezza’, ‘assicurazione’ e ‘l’addizionale Fuel Surcharge’. E’ la voce più “pesante” delle tasse aeroportuali (circa l’85% delle stesse).

Il ‘sovrapprezzo del carburante’ sul prezzo (finale) del biglietto, viene deciso dalle compagnie per far fronte alle variazioni del prezzo del petrolio;

La ‘tariffa per la sicurezza’, introdotta a seguito degli attentati del 9/11, è per far fronte alle spese per l’acquisto di nuovi macchinari, l’assunzione del personale di sicurezza e la modifica delle procedure ai varchi dei controlli: su queste la compagnia, ovviamente, non decide nulla, in quanto le regole sono decise dalle agenzie internazionali. Se da un lato, sono state misure utili, poiché fatti del genere non si sono più ripetuti, dall’altro hanno influito molto sull’aumento dei prezzi – determinando un minore accesso al mercato aereo da parte dei consumatori meno abbienti – e, soprattutto, hanno reso normale esaminare fin nell’intimità i viaggiatori, violandone così la libertà e la privacy. E’ il ben noto bilanciamento tra libertà e sicurezza.

Un’altra grossa percentuale delle tasse aeroportuali è determinata dall’“IT”, cioè i ‘diritti di imbarco’: sono i costi che ogni compagnia aerea versa al gestore/proprietario dell’aeroporto per l’utilizzo delle sue infrastrutture. Variano ovviamente da aeroporto ad aeroporto e a seconda della lunghezza delle tratte. Su questo punto non abbiamo nulla da ridire: è giusto che gli utenti di un servizio (compagnia e viaggiatori) si spartiscano il costo di un servizio di cui usufruiscono. Generalmente, si può dire, le tasse sono legate all’aeroporto e vengono riscosse dal gestore per coprirne i costi. Solitamente aeroporti più piccoli applicano tasse più basse: ecco spiegato perché le compagnie low cost li scelgono.

Ma una tassa vera e propria, oltre la “FN” che sarebbe l’IVA, calcolata al 10%, sui diritti aeroportuali, è indicata con “HB”, ovvero ‘l’addizionale’ di competenza del Comune, del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, della Salute e del Ministero dell’Interno, dal valore perlopiù fisso: questa tassa include il ‘rimborso’ ai comuni limitrofi agli aeroporti per il disagio causato dal rumore degli aerei. A cosa servano di preciso non è dato saperlo. Ma immaginiamo che ognuno di questi enti abbia sentito la necessità di avere un introito ulteriore, sfruttando un mercato sempre in crescita come quello del trasporto aereo.

Un esempio potrà chiarire sulla questione: Secondo quanto riportato dal Sindaco di Fiumicino, in una lettera alla Presidenza del Consiglio e all’ANCI, l’addizionale comunale attuale per l’aeroporto di Fiumicino è di 8 euro: 5 euro a passeggero vanno direttamente all’Inps per un fondo integrazione Alitalia, 2 euro per ‘Roma Capitale’ (circa 40 milioni di euro in totale) per il pagamento del debito pregresso e 1 euro alla Ragioneria dello Stato che a sua volta li divide in 30 milioni devoluti all’Enav, il 60% della rimanenza va al Ministero dell’Interno e il 40% sempre al Ministero dell’Interno che li ripartisce ai Comuni aeroportuali.

C’è poi un ‘corrispettivo’, indicato con “EX”, per il ‘controllo bagagli da stiva’, legato ad ulteriori operazioni di sicurezza, ma… aspettate… non l’avevamo già considerato?

Stesso discorso vale per il “VT”, il ‘corrispettivo per la sicurezza del passeggero e del bagaglio a mano’. Perché non comprendere questi costi nella tariffa per la sicurezza? Sempre che già non lo siano: in questo caso, chi ha deciso l’esistenza di questi costi, tra gestori aeroportuali e agenzie per la sicurezza?

Infine, bisogna considerare l’“MJ”, ‘l’assistenza ai passeggeri disabili o a mobilità ridotta’, giustissima nel caso tra i viaggiatori ci siano persone con queste caratteristiche… ma in caso non ci siano perché richiederla?

L’“NH”, la tassa sull’utilizzo dei terminal da parte del passeggero. Ovvero, per accedere alle sale (check in, gate etc) dell’aeroporto vi fanno pagare una tassa;

L’“YR”, il corrispettivo dovuto per la vendita del biglietto, che varia a seconda del canale di acquisto (agenzia viaggi, sito internet, ecc);

L’“XT”, che indica un insieme di più tasse che, per motivi di spazio, non possono essere tutte specificate nel biglietto;

E la ‘Tassa di solidarietà’ a sostegno dei paesi del terzo mondo (varia da 1 a 40 euro, in base alla destinazione e alla classe di servizio prenotata).

L’ultima voce – ma non per dimensione – sono le “VARIE”, che comprende i ‘diritti di imbarco’, il ‘contributo per la sicurezza’ ed il ‘servizio al passeggero’: ma come, di nuovo? Si tratta dei costi che la compagnia aerea versa al gestore dei servizi aeroportuali, come le operazioni di check-in, di sicurezza doganale e/o servizi per i passeggeri, etc, di tutti gli aeroporti – oltre quello di partenza – inclusi nella tratta del proprio ticket.

Cosa ci dice questa analisi? Pur essendo una voce fissa sul dettaglio dei costi del biglietto, le tasse aeroportuali sono molto variabili, a seconda dell’aeroporto e della lunghezza del volo, ma costituiscono sempre una fetta enorme del costo finale di un biglietto aereo. Un costo solo in minima parte imputabile direttamente alla compagnia, e che invece è molto legato all’andamento del costo del carburante e, soprattutto, ai costi di gestione e della sicurezza degli aeroporti, che si presentano più di una volta o, quantomeno, su cui c’è una grande confusione. 

Siamo convinti che alcuni di questi costi possano tranquillamente essere evitati ed altri possano essere rivisti, con guadagno di tutti: gestori aeroportuali, compagnie aeree e viaggiatori. Speriamo che questo nostro approfondimento, possa avviare un fruttuoso dibattito sull’argomento.