
di Guglielmo Salomone, Coordinatore Locale
Quante volte avete sentito parlare della presunta sacralità della nostra vigente Costituzione?
Quante volte avete sentito nominare i “Padri costituenti” come se fossero dei superuomini?
Troppe volte. Ma la nostra Costituzione è davvero così inappuntabile? Come tutto ciò che viene
elevato dal “sentire comune” ad argomento non suscettibile di dibattito, ovviamente no.
Partendo dalla composizione dell’Assemblea Costituente, si nota chiaramente un dettaglio: la
maggioranza relativa era composta da forze social-comuniste. In altre parole: la vigente Legge
fondamentale dello Stato ha risentito della fortissima influenza di forze politiche che, al tempo,
costruivano il proprio progetto politico guardando con ammirazione alle dittature socialiste est
europee.
Tutto ciò non poteva che avere delle conseguenze che si ripercuotono tutt’oggi. E ciò già nella
prima parte, quella relativa ai diritti e doveri dei cittadini, sebbene questa venga spesso erta al
ruolo di Magna Charta dei giorni nostri. Senza soffermarsi su ogni disposizione rientrante in
questa sezione – e senza comunque potersi negare l’importanza fondamentale di talune
previsioni – è nel Titolo relativo ai Rapporti economici che i Costituenti gettano la maschera,
ponendo le fondamenta dell’Italia in cui ci ritroviamo oggi: inefficiente, statalista, immobile.
A proposito, basti leggere il contenuto degli artt. 41 e 42:
Art. 41: L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute,
all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.
Art. 42: La proprietà è pubblica o privata.
I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di
acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti .
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo,
espropriata per motivi d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della
successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Un primo indizio si può trarre dalla collocazione di queste disposizioni: non insieme alle altre
libertà e diritti fondamentali elencati nei primi articoli della I Parte, bensì alla fine, relegate, come
detto, nel Titolo III. Ma soprattutto, se depurate da quell’aura che ad esse viene normalmente
attribuita, non si fa fatica a comprendere come si tratti di norme aventi un contenuto talmente
vago, da potersene dare interpretazioni estremamente restrittive così come estremamente
estensive. E ciò non è un caso. Anzi, è una precisa volontà dei deputati, e soprattutto dei
deputati socialisti: introdurre tali disposizioni con un contenuto talmente ambiguo, da permettere
che, in futuro, si potesse intervenire imponendo forti limitazioni a tali libertà fondamentali – se
non addirittura negandole alla radice – senza che ciò potesse dirsi inequivocabilmente contrario
al dettato costituzionale. E fu lo stesso Pietro Calamandrei, uno dei più illustri deputati – nonché
costituzionalisti – presenti, a riconoscerlo, quando, durante la discussione generale tenutasi il 4
marzo 1947, affermò, ironicamente: “Mi immagino…un dialogo fra un conservatore e un
progressista: l’uno e l’altro vi troverà argomenti per sostenere che la Costituzione dà ragione a
lui. Il conservatore dirà: «Vedi, la proprietà privata è riconosciuta e garantita». Il progressista
risponderà: «Sì, ma i beni possono appartenere allo Stato o ad enti pubblici». Il conservatore, o
liberale che sia, dirà: «L’iniziativa economica privata è libera». Il progressista risponderà: «Sì,
ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana»”.
Ma l’unico ad avvedersi realmente – o quantomeno ad esplicitare – il contenuto estremamente
contraddittorio – e pericoloso – di queste disposizioni, fu un deputato oggi del tutto dimenticato,
proveniente da un partito (il Fronte dell’Uomo Qualunque) che sarebbe di lì a poco scomparso,
Catullo Maffioli. Per rendere omaggio alla sua memoria, a lungo tenuta nascosta dai libri di
storia, è opportuno riportare alcuni stralci del suo intervento, effettuato durante la discussione
generale del Titolo III della I Parte del Progetto di Cosituzione del 3 maggio 1947:
“Il titolo III del progetto della nuova Costituzione tende, in sostanza, a risolvere la questione
sociale secondo i dogmi e i preconcetti che sono propri dei sistemi totalitari e statolatri. Nelle
sue linee essenziali e fondamentali, infatti, il titolo III tende ad accentrare nello Stato tutte quelle
facoltà che per diritto naturale spetterebbero all’individuo in rapporto alla proprietà privata e alla
libera iniziativa economica privata.
Pur proclamando, in teoria, la legittimità della proprietà privata , e pur riconoscendo e anzi garantendo la libertà dell’iniziativa economica privata , in
realtà ne prevede e ne suggerisce tante e tali limitazioni che, in definitiva, non si saprebbe ben
comprendere che cosa potrebbe restare più di codesti due concetti essenziali ad ogni civile
convivenza. Così, ad esempio, dopo aver affermato la legittimità della proprietà privata e
dell’iniziativa privata …il progetto si affretta tosto a soggiungere che la legge determina i modi di
godimento ed i limiti della proprietà allo scopo di assicurare la sua funzione sociale, e di
renderla accessibile a tutti.
Dunque non si può più parlare di libera iniziativa economica privata, ma al più di iniziativa controllata o pianificata, quando la proprietà privata di cui la libera iniziativa è l’attributo essenziale, sia limitata ad ogni momento dallo Stato nel suo modo di acquisto e di godimento. Una proprietà privata, che nel contempo ha una funzione che viene considerata eminentemente «sociale», cioè «comune», è in definitiva regolata dal potere centrale, a suo esclusivo piacere anche nel modo di godimento…è innegabile che il titolo III del progetto in esame ha posto nel più esplicito dei modi tutti i presupposti etico-giuridici per l’attuazione di un ordinamento totalitario, affermando teoricamente che c’è la proprietà privata, ma in pratica sopprimendo pur anche le tracce della proprietà privata e dell’iniziativa economica privata, e sanzionando la più sfacciata sopraffazione dello Stato in ogni campo della vita pubblica e privata, sì da creare il presupposto statutario di uno schiavismo statale che lo stesso fascismo non aveva osato e saputo concepire”.
Come spesso capita a chi genialmente è capace di leggere in anticipo ciò che gli altri non
vedono – o fanno finta di non vedere – l’intervento di Mattioli fu accolto dallo scetticismo e
indifferenza degli altri deputati, che perseverarono, approvando in via definitiva il testo tutt’oggi
vigente dei suddetti articoli. Ma, a posteriori, dare torto a Mattioli appare quantomeno arduo, in
un’Italia che oggi si piazza – secondo le ultime classifiche fondate sull’indice di libertà
economica elaborato dalla The Heritage Foundation e dal Wall Street Journal – al 57° posto
(dietro, tra gli altri, Capo Verde e Saint Vincent e Grenadine), e – secondo le ultime classifiche
elaborate dalla Property Rights Alliance – al 25° posto per tutela del diritto di proprietà (per altro,
va detto, in netta risalita dal 2022 ad oggi).
E ancora nessun commento si è fatto relativamente alla II Parte della Carta Costituzionale,
quella relativa all’ordinamento della Repubblica. Del resto, in merito probabilmente non ci
sarebbe bisogno di ulteriori approfondimenti, essendo sotto gli occhi di tutti le disfunzionalità del
sistema parlamentare elaborato nel 1948. Ma un dato vale la pena ricordarlo. Dal 1948 ad oggi
si sono succeduti 67 governi. In 77 anni. Facile dedurre la media di durata dei Governi: 1 anno
e 2 mesi.
Insomma, la nostra Costituzione non solo non è perfetta, ma ha anche fornito il germe dei più
annosi problemi che attanagliano fino ad oggi la nostra Repubblica. Ricordiamolo la prossima
volta che si presenterà l’occasione di andare alle urne, e i soliti starnazzatori cominceranno a
recitare i soliti, rancidi, slogan.


Lascia un commento