Firma per Abolire il CNEL!

Students For Liberty Italia lancia la petizione per chiedere l’abolizione del CNEL!

Chiediamo una riforma costituzionale che preveda l’abrogazione dell’art. 99 della Costituzione e la conseguente soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (di seguito, Cnel).

Il Cnel si è rivelato un ente inadeguato agli scopi per cui era stato concepito ed è ormai superato: sindacati, associazioni d’impresa e categorie professionali non hanno avuto bisogno del Cnel per far sentire la propria voce e le proprie istanze nei confronti della politica. Ci sono già le interlocuzioni dirette con i partiti, con i governi e con i parlamenti, già partecipano al dibattito pubblico, promuovono campagne, scioperi, manifestazioni, studi, analisi, proposte. Un organo del tutto inutile, ma che è costato circa 1 miliardo di €, dalla sua istituzione ad oggi, e che, ogni anno che passa, costa 19 milioni, stando ai calcoli de “Il Sole 24 Ore”.

Il Cnel è però quella “cosa” che tutti vogliono abolire ma nessuno ci riesce.

Pertanto, Noi chiediamo che l’abolizione di questo organo – rivelatosi inutile e costoso per le ragioni che abbiamo esposto sopra – venga attuata attraverso una “legge costituzionale specifica”, che riguardi solamente il destino del Cnel, e non più (come invece fu nel 2016) nell’ambito di una Riforma costituzionale più larga e complessa. Questo per permettere al Parlamento, qualora la riforma per l’abolizione del Cnel fosse approvata con una maggioranza almeno dei 2/3, di dare seguito a questa richiesta dei cittadini evasa ormai da anni, o, qualora si dovesse tenere un Referendum costituzionale, agli elettori di poter votare e decidere univocamente, una volta per tutte, se questo organo debba continuare la sua esistenza, e non che tale decisione sia legata ai destini di una Riforma costituzionale più ampia.

Un impegno concreto per un obiettivo chiaro!

Una richiesta limitata e precisa, senza i soliti “ricatti” che si sono fatti in passato, del tipo: “Se vuoi abolire il Cnel, devi però votare Sì a tutta la Riforma costituzionale, anche se non ti piace!”

Firma e appoggia questa petizione, noi di Students For Liberty Italia ci batteremo perchè gli elettori si possano esprimere chiaramente e univocamente sulla sua abolizione!

FIRMA LA PETIZIONE su Change.org!

[Speciale] DIBATTITO SULL’UNIONE EUROPEA

Introduzione

++ … ARTICOLO IN COSTANTE AGGIORNAMENTO! ++

Manca meno di una settimana al voto delle europee.

L’Europa ed il futuro dell’Unione Europea hanno assunto un peso sempre più grande nel dibattito politico del Nostro Paese.

Le due visioni principali e contrapposte prevedono si posso riassumere, da una parte, in una maggiore integrazione e la costituzione degli “Stati Uniti d’Europa” e dall’altra, in un ritorno ad un più elevato grado di sovranità nazionale, in una sorta di “Europa delle Nazioni”.

Al centro del dibattito che vogliamo fare non ci saranno però le posizioni “mainstream” dell’uno o dell’altro schieramento, che interessano ma relativamente, ma ci concentreremo su quali saranno le libertà ed i benefici che i cittadini europei potranno trarre dal proseguimento oppure dall’arretramento dell’integrazione multilivello del sistema politico ed economico europeo: quale sistema potrà valorizzare al meglio i diritti di libertà?

Posizioni e istanze pro-Libertà infatti possono trovare posto sia all’interno di uno schieramento che nell’altro… l’importante è comprendere come, quanto e in quale modo s’intenda valorizzarle.

Per questo sarà un dibattito interessante per chi come noi ha lo sguardo attento alle libertà individuali, e speriamo, nell’una come nell’altra metà campo, di portare idee, temi e proposte nuove che possano arricchire entrambe le squadre.

Le posizioni del #SI

“L’Unione la voglio elvetica” di @Giacomo Messina

Le elezioni Europee: una tornata elettorale definita da tutti come decisiva, una sorta di referendum pro o contro l’UE. Da una parte i partiti europeisti, che spingono verso una maggiore integrazione sia politica che economica, dall’altra i sovranisti, che chiedono di rispettare la sovranità e le specificità dei singoli paesi.

Opinione di chi scrive è che in realtà le prossime europee non saranno realmente importanti per il futuro dell’Unione quanto per gli equilibri interni dei singoli paesi, poiché potrebbero sdoganare i movimenti sovranisti come partiti di governo e non solo di lotta. Difficilmente ci saranno stravolgimenti nella natura, nella struttura e nei trattati dell’UE, difficilmente la maggioranza al Parlamento Europeo e quindi alla Commissione sarà diversa da quella degli ultimi anni. Certamente il messaggio politico di una forte affermazione dei partiti euroscettici è qualcosa con cui, i partiti tradizionali, dovranno fare i conti se vorranno continuare a sopravvivere.

L’Europa, come Comunità Economica prima e come Unione poi ha indubbiamente raggiunto svariati successi. La creazione di un mercato unico con le quattro libertà di circolazione di persone, capitali, merci e servizi hanno contribuito, insieme alla cooperazione politica tra stati membri, al periodo più lungo di pace nella storia del nostro continente. “Dove passano merci, non passano eserciti” diceva Frederic Bastiat, e così è stato. L’integrazione è continuata con la moneta unica, strumento che ha tolto il potere agli stati di battere moneta a proprio piacimento e creare inflazione, definita la più iniqua delle tasse da Luigi Einaudi, uno dei padri costituenti dell’Italia e del progetto di unificazione tra paesi europei. L’Euro ha tolto potere di imposizione fiscale ai singoli governi, spingendoli verso politiche necessariamente più responsabili e sostenibili nel lungo periodo. Questo è il principale successo della moneta unica, troppo spesso dimenticato, anche da chi si fa paladino della lotta contro le tasse e lo stato interventista. La moneta unica ed il mercato comune chiedevano necessariamente una maggiore integrazione delle economie degli stati che compongono l’Unione. Ecco quindi la necessità del trattato di Maastricht e del Fiscal Compact, con i parametri introdotti come i famosi 3% di deficit o 60% di rapporto debito/Pil. Necessari per far si che l’Unione monetaria ed il mercato unico continuino a sopravvivere senza sfaldarsi nei momenti di difficoltà di un singolo membro, come nel caso Greco.

Ma l’Unione non è solo utile e necessaria per un migliore sviluppo economico quanto per gli equilibri geopolitici mondiali. Che l’Europa resti unita e forte politicamente è di fondamentale importanza se non si vuole rimanere soggiogati da potenze mondiali come Russia e Cina, o essere sempre subordinati al volere degli Stati Uniti. Non fraintendete, sono un Atlantista convinto e ritengo gli USA un partner fondamentale, oltre che un modello a cui guardare ed aspirare. Ritengo però che gli interessi strategici di USA ed UE possano talvolta divergere, come per la questione del Nord-Africa, soprattutto adesso che l’America sembra dirigersi verso un maggior isolazionismo ed un minor interventismo. Una unione forte economicamente, politicamente e militarmente, con obiettivi condivisi e chiari può fare gli interessi del popolo europeo meglio dei singoli stati e difendersi dalle mire espansionistiche ed egemoniche di Russia e Cina che rimangono ancora troppo lontane, e di fatto nemiche, del modello democratico, liberale e di mercato che caratterizza le nostre democrazie e le nostre economie. I popoli europei sono già estremamente integrati tra di loro per culture, tradizioni e storia, l’Europa è già la patria comune di milioni di persone, tanto quanto lo sono i singoli stati, regioni e comuni che caratterizzano la struttura del nostro continente.

Proprio da questa particolarità e da questa specificità derivano tutte le difficoltà e le problematiche riscontrate dall’UE nel corso degli ultimi anni. Non essere stati in grado di capire che l’Unione non può essere gestita centralmente ed unicamente da Bruxelles, Strasburgo o Francoforte, con direttive e leggi che valgono a tutti i livelli e per tutti gli stati, senza riconoscere l’unicità di ogni singolo territorio ha creato malcontento e delusione. Più un governo ed un parlamento sono lontani dal cittadino più è minore l’accountability e l’assunzione di responsabilità da parte dei politici. Più si è lontani dal territorio, minore è la conoscenza dello stesso e la capacità di legiferare in suo aiuto.

L’Unione soffre di un deficit democratico di non poco conto, i cittadini sono scarsamente rappresentati e le cariche decisive non sono elettive bensì per nomina. Gli organi e le istituzioni con poteri legislativi ed esecutivi sono proliferati nel corso degli anni: Commissione Europea, Consiglio dell’Unione Europea, Consiglio Europeo, Parlamento Europeo. Spesso con compiti simili o in contrasto tra di loro, con sedi multiple, e migliaia di dipendenti, tutto pagato dai contribuenti.

L’UE si sta, poco alla volta, trasformando in un superstato, centralizzato in cui tutto deve essere pianificato, controllato e regolamentato. Dove, ad esempio, la concorrenza fiscale tra paesi e territori è malvista. Continue sono in questo senso le richieste di armonizzazione fiscale tra stati. Chi si auspica questa convergenza fa il male tanto dei paesi virtuosi che verrebbero enormemente danneggiati per la sola “colpa” di essere più efficienti ed essere stati in grado di avere meno spesa ed uno stato più leggero, incoraggiando invece gli Stati che hanno accumulato nel corso degli anni spese clientelari e debito a cause delle inefficienze del settore pubblico e di regalie elettorali.

L’Unione Europea come tutti gli organismi composti da burocrati e politici che hanno perso il contatto con la realtà dei territori si è impegnata a legiferare e regolamentare il più possibile, aumentando il peso normativo in capo agli stati membri. Dalle PAC, alla Politica Comune della Pesca che si occupa persino di stabilire le quote di pescato per ogni paese, a concludere con leggi assurde che determinano le dimensioni e l’aspetto di frutta e ortaggi. Non c’è ambito in cui l’UE non si sia presa la briga di stabilire norme e regole. A questa invasività e pervasività che i cittadini europei si stanno ribellando, a partire dalla Brexit.

L’Unione Europea dovrebbe essere un grande organismo di collaborazione tra territori, ancora prima che tra stati, che condividono una politica estera e militare comune, mercato e frontiere comuni, con una politica migratoria condivisa, incoraggiando lo sviluppo delle economie di mercato e della democrazia liberale. Deve essere un baluardo della difesa delle libertà acquisite dai popoli occidentali, contro le minacce provenienti al resto del mondo. A questo scopo non è necessario avere decine di organi politici e migliaia di dipendenti e burocrati. Non è necessario avere leggi e norme che regolino ogni aspetto della vita umana.

L’esempio da prendere in considerazione per il futuro dell’Unione è un paese che fa parte dell’Europa, molto vicino a noi, ma spesso ignorato: la Svizzera. Uno dei sistemi più democratici e liberi al mondo, uno dei paesi più ricchi, con standard di vita più alti e minor disuguaglianze. Ricreare il sistema di governo Svizzero a livello continentale dovrebbe essere l’obiettivo da porsi per chi ha a cuore il futuro dell’Unione.

“Un’Unione Libertaria?” di @Mike Sciking

L’integrazione europea è un processo interessante e se ben applicato positivo. Tuttavia i partiti odierni lo fanno male: Chi dice sì vorrebbe spesso un Superstato assistenziale, con l’obiettivo di accedere alle ricchezze delle nazioni più sviluppate sulla falsariga della “solidarietà regionale” italiana, chi dice no spesso vuole Nazioni sovrane come quelle novecentesche: protezionistiche e che mettono l’Individuo al servizio dello Stato.

Bisognerebbe guardare al modello proposto dal Liechtenstein di Stato come pacifica impresa di servizi fortemente decentrata e al servizio dell’individuo, ma non potendo pretendere che tutto il mondo segua il nostro modello può avere senso un unico esercito europeo, affiancato da cittadini europei armati su modello USA o svizzero, come deterrente più forte rispetto ad un tot di eserciti nazionali, ma le restanti decisioni devono essere prese il più localmente possibile: Prima l’individuo, poi la famiglia, poi il comune, poi la provincia, poi la regione, poi lo stato, solo in ultima istanza, l’unione.

 … continua

Le posizioni del #NO

“L’Europeismo è il vero anti-europeismo”

Se le elezioni europee de 2014 avevano segnato (si può dire) “l’ultima” chiamata, l’ultima occasione concessa dai cittadini europei ai partiti tradizionali per provare a cambiare l’Europa, quelle del 2019, se non segneranno la “fine” dell’Unione per come la conosciamo, certamente rappresenteranno una “batosta” (almeno secondo i sondaggi) o comunque un “giro di boa” che imporrà una seria riflessione e più di un ripensamento per come si è fatta la politica in Europa, dal 1992 con Maastricht, fino ad oggi. 

In particolare – eppure già allora si parlava del “pericolo sovranista”, dell’“avanzata degli euroscettici” – i risultati emersi dalle urne del 2014 per i partiti “europeisti” furono ancora nettamente maggioritari. Tuttavia, quel consenso ancora forte è stato sprecato in questi cinque anni, che invece hanno visto il successo – prima con qualche buon risultato, poi con una rimonta sempre più incalzante – di formazioni euro-scettiche, che hanno anche nel frattempo conquistato parecchie cancellerie negli Stati membri. Chi pensa che questo non cambierà in alcun modo gli equilibri dell’Unione dopo il 26 maggio e che, bene o male, con una raffazzonata coalizione europeista post-voto, frettolosamente assemblata nell’emiciclo del Parlamento Europeo, si possa “tirare a campare invece che tirare le cuoia” in attesa di tempi migliori s’illude.

Data l’incapacità dei partiti, tradizionalmente europeisti, non solo di far fronte alle sfide e ai problemi dei popoli europei ma anche di portare a compimento gli stessi obiettivi che oggi ripropongono, non c’è modo di credere che, qualora fossero riconfermati per altri cinque anni, essi possano spenderli meglio di come hanno fatto con i precedenti cinque.

Forse il sovranismo ed il populismo (nei significati che vengono loro attribuiti oggi per la maggiore)  sono una risposta sbagliata, ma tuttavia sono la reazione ad un Processo di Unificazione europea totalmente irragionevole. E non è detto che, dall’altro lato, l’europeismo brilli per razionalità e lungimiranza.

Perché il processo di integrazione europea è irragionevole? Perché si è pensato di fare l’Europa contro la natura dell’Europa. 

Se si guarda l’Europa da lontano si vede solo un piccolo lembo estremo dell’Asia, sembrerebbe quasi una delle sue numerose protuberanze. Perché però non la identifichiamo con l’Oriente? Per la sua Civiltà, che noi chiamiamo, appunto, Occidental. E questa Civiltà è sempre stata caratterizzata, in tutta la sua lunga Storia – e da lì ha avuto il suo successo – dal pluralismo istituzionale, e cioè nel fatto che Roma era Roma, Firenze era Firenze, Venezia era Venezia, le città Anseatiche erano le città Anseatiche, le Fiandre erano le Fiandre, eppure così piccole ed insignificanti erano tutte realtà che consideravano il Mondo come il proprio Orizzonte, coltivavano grandi ambizioni e hanno fatto grandissime cose: l’Europa infatti esplode dal punto di vista culturale, economico, artistico e “parte” letteralmente alla conquista del Mondo proprio quando la competizione istituzionale è altissima.

L’Europa era questo, ed è stata per molto tempo questo: una grande complessità, un “piccolo e litigioso continente”, dove il potere politico era debole, ma questa debolezza era compensata da una società forte. Il Potere era sempre stato localizzato, quindi debole, ma la società era forte, una società fatta di mercanti, di banchieri, di intellettuali. 

Il processo di centralizzazione e di cartellizzazione del potere, cioè l’unificazione europea, è un processo anti-europeo, ed è un processo che non può che creare problemi e tensioni all’Europa. 

Forse populismo e nazionalismo sono anch’essi figli di questo processo: un processo che ha portato a concentrare sempre di più il potere, e che ha creato i grandi Stati-nazione… ma al tempo stesso lo è anche il processo “europeista”, che invece di fermarsi ad un certo punto, ha voluto proseguire, e che per questo non si discosta molto dal suo “rivale” (che è per questo solo virtuale): laddove c’è chi vede 27 Stati, c’è qualcuno che ne vede soltanto Uno. Possono essere poi tanto diversi?

Come poi si possa immaginare di vivere in un unica società politica di 510 milioni di persone, poco meno del 7% dell’intera popolazione mondiale, che non sono in grado di capirsi fra di loro… non è dato, ancora oggi, a sapere… Non abbiamo un “dibattito pubblico” a livello europeo, gli elettori nei vari Stati membri, e che qualcuno vuole “europei”, stanno sì parlando di Europa, ma lo stanno facendo tra di loro, senza più di tanto interscambiarsi con gli altri a livello europeo. Eppure, se si sposta lo sguardo a pochi secoli fa’, tra il ‘700 e ‘800, c’era un dibattito che poteva dirsi “europeo”, nelle Coffee Houses, nei Salotti, nelle Accademie intellettuali. Certo, un dibattito di un circolo ristretto di persone, di un elité altamente istruita, ma c’era un dibattito pubblico.

Ma oggi, con livelli di istruzione che non sono quelli del passato (che erano ristretti a poche persone), con la completa alfabetizzazione dei cittadini europei, con i social, internet… ci sono degli spazi di discussione pubblica europea veramente coinvolgenti e non targettizzati su gruppi di persone che, più o meno, la pensano esattamente allo stesso modo? No! E come potrebbe essere? Non ci sono nemmeno i giornali europei! Gli “europei” non leggono gli stessi giornali, non guardano le stesse televisioni, vivono in universi separati.

E dunque alla fine, non è forse vero che tutte le costruzioni “europee”, che vogliono una Grande Europa Unita, non sono forse tutte costruzioni elitarie, calate dall’alto, che pretendono di essere un fattore di liberazione e di apertura, ma che in realtà non lo sono? Nel momento in cui si instaura un Potere così lontano e così fuori dal nostro controllo, finisce inevitabilmente per essere qualcosa di molto pericoloso, anche se magari così non lo percepiamo (anche perché, di solito, lo si percepisce quando è già troppo tardi). 

Il problema è che, quando si ha una costruzione unitaria e monolitica, con la stessa legge, la stessa politica… dov’è che si può trovare un luogo per uscire da una situazione infelice, in cui non ci si trovi bene? Oggi molti dicono “Ma io espatrio, vado via dall’Italia, qui non mi trovo più bene!” Ok, ma se poi l’Unione europea è uno Stato Unico, e magari non ti trovi più bene, dove te ne vai? In Russia? In Egitto? Ecco perché è importante la concorrenza tra giurisdizioni, la concorrenza tra sistemi, e non l’armonizzazione, la centralizzazione.

In Economia si definisce “cartello” un gruppo di imprese che si coalizza per poter più facilmente controllare tutto il Mercato; succede la stessa cosa in politica! I Governi, sempre più in difficoltà nel loro controllo locale-nazionale, stanno tentando di cartellizzarsi. Dal Walfare (“Salario Minimo europeo”, “Reddito di cittadinanza europeo”) al Fisco (“Ci vuole l’armonizzazione fiscale! Non è possibile che l’Olanda potrà continuare a farci concorrenza attirando capitali con tasse sui profitti ultra basse”) ai Commerci (“L’UE deve restare Unita! Altrimenti ci compreranno i Cinesi!”).

Ma un “cartello” è efficace se punta a monopolizzare il Mercato… e con il 7% della popolazione, il 15% dell’import-export globale, il 30% del PIL mondiale cosa si vuole cartellizzare precisamente? C’è la Cina, la Corea, il Giappone, l’Asia intera, gli USA, le Americhe, e nessuno può prevalere più di tanto sull’altro perché viviamo in un mondo Globalizzato, e ciò significa che tutto quello che noi usiamo e acquistiamo, di fatto, è il risultato di un’interazione globale, dove noi, gli “europei” abbiamo un nostro ruolo, certo, ma siamo TRA i player globali, non IL player globale. Al più si può fare un cartello piccolo, e quindi del tutto inutile, se non, nel caso europeo, pure costoso.

Le leadership europeiste si lamentano per il riemergere di vecchi nazionalismi, ma non si chiedono IL perché: e la colpa è da attribuire a quella stessa leadership politico-culturale che ha voluto e che esce da Maastricht e Lisbona: il “luogo-comunismo” fatto e finito, i “luoghi comuni” puri e semplici, per cui: “l’Europa è una buona cosa!”, “Più poteri all’Europa!”, “Facciamo uno Stato Europeo!”. Slogan che alla fine, accumulandosi i problemi sotto i colpi di una lenta ripresa economica, hanno presentato il conto. 

Un’Europa che si è voluta allargare, prima 6, poi 15, infine 27-28, domani facciamo pure 30… finché non arriviamo alla Turchia… e perché la Turchia non la vogliono far entrare né i sovranisti né gli stessi europeisti? Eppure è sempre stata presente nella Storia europea! La sua città più grande, Istanbul (l’abbiamo chiamata per secoli Costantinopoli) è pure in Europa! Più si allarga e più la si vuole allargare, più questo progetto non può funzionare! E se i primi segnali di cedimento sorgono già con un allargamento a 27-28 paesi, figuriamoci cosa potrà accadere se il processo dovesse estendersi non più in orizzontale ma in verticale, in un solo Super-Stato…

Certo, non dobbiamo per forza essere isole nel deserto, non accadrà che gli Stati Europei dopo il 26 maggio si chiuderanno dentro i propri confini: ma l’Europa non può che essere solo uno spazio, con identica cultura, di mercati, di cooperazione tra popoli (considerati sia come privati che come amministrazioni pubbliche) ma niente di più. E non c’è nulla di misero in questo, anzi, per secoli è stata proprio la base della nostra forza e della nostra supremazia: è quello che siamo e che siamo sempre stati.

Non saranno certo i famosi “Stati Uniti d’Europa” che – come progetto – già oggi nulla ci offre in garanzia per ritenere che il pluralismo istituzionale, che ci ha sempre contraddistinti e che è stata la nostra forza nonostante fossimo il “piccolo e litigioso continente” verrà rispettato.

“Sognate la Svizzera ma avrete il Soviet”

In un bell’articolo scritto da Alberto Mingardi (IBL) di qualche tempo fa si trova una delle migliori immagini di cosa sia diventata l’Europa: “L’Europa doveva nascere come una Svizzera, è diventata come una Francia e rischia di diventare quello che è l’Italia”.

Doveva essere uno spazio di mercato fra realtà istituzionali in concorrenza, è diventato un super-stato e rischierà di finire spaccata tra un Nord più produttivo ed un Sud invece meno, ma comunque tra culture troppo distanti l’una dall’altra.

Analizzando l’unificazione europea partendo a quella italiana, che è stata un disastro, si può ragionevolmente prevedere quale tipo di disastro sarà l’unificazione europea se mai verrà fatta;

Pensiamo anche solo al perché i nostri imprenditori, italiani ed europei, vadano in Romania o in Bulgaria ad investire, e non lo facciano invece da noi? Perchè? Perché a causa del meccanismo italiano, il Sud assume le difficoltà di tutte quelle zone che hanno sì delle difficoltà – ma che hanno però dei buoni livelli di sviluppo – ma senza averne i rispettivi benefici. Infatti, se si va in Romania si trova una tassazione bassissima, una regolazione bassissima, un costo del lavoro che è calibrato su quello che è quel tipo di società, economia, produttività;

Ma se andiamo invece in Calabria, cosa troviamo? Regolamentazione, pressione fiscale e costo del lavoro pensati per il centro-nord. Andreste dunque ad investirci? No! E questo anche senza considerare un’altro fatto cruciale, cioè il meccanismo della redistribuzione della ricchezza, di cui l’Italia rappresenta efficacemente un esempio di “trappola”: perché una parte del Paese subisce una pressione fiscale altissima, una sottrazione di risorse, che la penalizza, e l’altra parte, che viene distrutta dall’afflusso di risorse. Due situazioni complementari, e che non sono positive né per una parte né per l’altra.

Se pensando all’Italia guardiamo all’Unione Europea che prospettive possiamo aspettarci? Quella di essere tutti assieme (il Nord come il Sud) il “Mezzogiorno d’Europa” (assieme ad altri paesi come Grecia, Spagna e Portogallo), e non servirà attendere gli “Stati Uniti d’Europa” per vederlo. Di fatto ci stiamo già avviando verso questa prospettiva, perché le istituzioni europee ci hanno dato e ci stanno progressivamente promettendo tutta una serie di sostegni riguardanti il nostro debito pubblico, e così via. Poiché noi non possiamo affrontare i problemi da soli alle difficoltà, perché sarebbero troppo gravosi, allora saremo accompagnati per mano, in maniera assistenziale e alla fine improduttiva, dall’Unione Europea, attraverso operazioni legate alla moneta, al debito, ecc.

Suona bene, certo, però non funziona e non funzionerà, perché non esiste Società che sia cresciuta attraverso l’intervento pubblico, statale o “europeo” che si voglia.

E’ bello “sognare” un’integrazione europea su modello svizzero, ma è appunto un “sogno” ad occhi aperti: innanzitutto perché le forze politiche che, concordi in un’Unione più integrata politicamente o anche a formare un unico Super-Stato, che vogliono realmente la “Svizzera” sono poche, minoritarie e relegate ai margini dei Grandi Giochi che si svolgono a livello europeo. Dal punto di vista culturale, economico, religioso, linguistico, anche geografico la Svizzera è tale perché è la Svizzera (tautologia voluta), rappresenta un “unicum” difficilmente replicabile negli altri paesi continentali. Pensare che l’UE possa diventare una “Svizzera, ma più in Grande” è di per sé antitetico. Svizzera ed Europa sono un ossimoro fra di loro: non a caso la Svizzera si è sempre posta, nonostante la contiguità geografica, fuori dall’Europa e dai processi che per secoli l’hanno governata. E non a caso, quando anche la Svizzera (di cui si vorrebbe copiare il modello) dovette decidere se entrare nello Spazio Economico Europeo nel 1992 votò contro (sia i cittadini che la gran parte dei cantoni). Da lì si sono certo sviluppate forme di intesa, ma tramite normalissimi accordi bilaterali, che si sono sempre fatti tra gli Stati.

Molto più probabile che finisca come è iniziato l’articolo: “L’Europa doveva nascere come una Svizzera, è diventata come una Francia e rischia di diventare quello che è l’Italia”.

… continua

[Speciale] Legittima Difesa

“Vim vi repellere licet”, è lecito respingere la violenza con la violenza. Hanno ragione i maestri della cultura classica.

Il brocardo indica semplicemente un’eccezione, di assoluta ragione, al divieto generale di tutela arbitraria dei propri interessi: chi reagisce con violenza alla violenza per difendere un diritto proprio o altrui, non è punibile, purché la difesa sia proporzionata all’offesa: esprime un antico principio di diritto, noto anche come “legittima difesa”. Questa rappresenta un residuo di autotutela che lo Stato concede al cittadini, nei casi in cui l’intervento dell’Autorità non può risultare tempestivo: il fondamento di questa eccezione è oggi quasi unanimemente ravvisato nella prevalenza attribuita all’interesse di chi sia ingiustamente aggredito rispetto all’interesse di chi si è posto al di fuori della legge. 

Come potete vedere la ‘legittima difesa’ non è dunque un diritto di origine, si fa per dire, “salviniana”, ne è stato inventato negli anni duemila da bieche forze del centrodestra di governo, ma affonda le proprie profonde radici nel patrimonio comune della civiltà occidentale. Va benissimo che una o più forze politiche cerchino di ri-valorizzarla e che ogni sforzo in tal senso vada salutato positivamente, ma è irrilevante ai fine della nostra discussione. Non deve esserne il centro. La politica qui non ci interessa.

Come è noto, questo principio di assoluta ragione è saldato nel nostro ordinamento all’art. 52 del codice penale. Ma allora perché è importante oggi parlare di legittima difesa? E perché si è sentito il bisogno di una riforma?

A prima vista parrebbe non esserci alcun dubbio: in Italia è consentito difendersi. Eppure l’opinione pubblica non sembra convinta di ciò, anzi vive la situazione con sempre più insofferenza: il consumarsi di una rapina che, in alcuni casi, sfocia in tragedia, la procura, le indagini, il giudice, il processo a carico di chi si è difeso (quasi sempre per “eccesso colposo di legittima difesa”)… quasi insomma che, in realtà, in questo Paese, sia impossibile difendersi. La verità è che è proprio così! Ti puoi difendere, ma poi lo Stato arriva e ti dice: “Bravo! Ti sei difeso… adesso però fammi vedere se hai fatto bene”.

Cercheremo quindi non tanto di spiegare una riforma, ma di spiegare perché c’è bisogno di un presidio forte a tutela dell’individuo.

Quando lo Stato non assolve il proprio compito, primo ed essenziale, di “guardiano notturno”, è lecito che un cittadino difenda, finanche imbracciando un fucile, la sua proprietà, in particolare dopo aver subito centinaia di furti? La risposta non può che essere, Si! è giusto permettere agli individui di preservare la propria vita e presidiare i propri beni in situazioni di pericolo o in presenza di ripetute vessazioni.

Si può non reagire, certo, si può fuggire, ancor ovvio, ma sono valutazioni che una persona deve prendere in base al proprio convincimento, e non possono queste essere ‘norme universali’ valide per tutti. Chi decide di reagire deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare, e non perseguito per anni per avere esercitato un suo diritto. 

Non si capisce perché si debba preferire chi è stato “vittima” di una reazione difensiva a chi invece di leggi non ne stava violando nessuna, costringendo quest’ultimo ad una maratona giudiziaria per verificare se, a posteriori, abbia fatto bene o meno.

In questi giorni molti media, con dovizia di particolari, stanno riportando come si sono conclusi i processi che sono stati trattati maggiormente in questi anni. Tutti (quasi) assolti: ergo una riforma non serviva. Piano! La gran parte dei processi è finita con un’assoluzione sì, ma, gli stessi articoli, riportano un dato che è ‘IL’ centro del problema: ci vogliono anni, e spese legali non indifferenti, e non per “avere giustizia”, come si dice, ma per vedersi riconosciuta dallo Stato la propria ragione ed il proprio diritto: è una lotta tra individuo e Stato. E questo è un problema: vi sembra poi normale che noi spendiamo tempo e risorse della magistratura per correre dietro a procedimenti che comunque, salvo casi estremi e rari, finiscono con assoluzione? Senza parlare del problema, di non secondaria importanza, per cui un giudice, in base al proprio libero convincimento, possa comunque ritenere, a propria discrezione, che il cittadino non sia rimasto nei limiti della legittima difesa e condannarlo?

Questo perché il nostro codice penale, significativamente firmato da Mussolini, considera il cittadino un suddito, e quindi gli pone i limiti entro i quali si può difendere. Mentre un codice liberale dovrebbe ragionare in modo opposto: chiedersi entro quali limiti lo Stato abbia il diritto di punire chi si difende da un’aggressione che lui, Stato, non è riuscito a impedire.

La difesa è quindi “sempre legittima”? Si lo è, ma in quanto “legittima”. Questo significa che anche la norma più ampia sulla legittima difesa non consentirà mai alla vittima dell’aggressione di recuperare con la violenza la refurtiva in casa del ladro, e nemmeno di potergli sparare alle spalle se scappa in strada con il televisore o per farlo desistere dal rubare la frutta sugli alberi. Queste sono le preoccupazioni che vengono instillate da chi ci vorrebbe tutti inermi e impossibilitati a reagire: ma sono preoccupazioni senza fondamento, perché la “legittima difesa” contempla il caso di chi si oppone ad un’ingiusta aggressione in atto (è l’attualità del pericolo), sull’ingiustizia dell’offesa, sulla necessità di una reazione. In questo costa la vera essenza della ‘proporzionalità’. Questo principio vale in tutto il mondo civile e continuerà, naturalmente, a valere anche da noi anche dopo l’approvazione della riforma. 

La difesa legittima non è dunque un via libera ai giustizieri!

Legato, ma non direttamente, al tema della legittima difesa è il tema della armi. Ora, la legittima difesa si può esercitare anche con mazze, ramazze, mani e piedi, ovvio, ma allora perché quando si parla di legittima difesa, inevitabilmente, si finisce poi a parlare quasi ed esclusivamente di armi? Semplicemente perché queste sono ritenute, di gran lunga dalla maggioranza delle persone, come i mezzi più efficaci per difendersi. Ma la congiunzione dei due temi finisce qui. L’ampliamento della possibilità o delle restrizioni al tema delle armi non è direttamente collegato alla legittima difesa: certo, potrà spaventare più di qualcuno, ma usarlo per negare il diritto alla difesa legittima è sbagliato. Sono due temi diversi. Chi si dice in favore delle libertà non ha problemi a dirsi favorevole sia all’uno che all’altro tema. Porteremo, dati alla mano, le motivazioni a favore e sfateremo qualche mito. Avremo modo di approfondire il tema.

In ultima battuta, ma non meno importante, guardando all’esperienza americana dei liberali, essi hanno saputo trovare un tema che li unisce tutti. La difesa del II emendamento. Parleremo anche di questo. Certo noi in Italia una disposizione simili non l’abbiamo, ancorché di livello costituzionale, ma allora perché non trovare proprio nella legittima difesa e nel legittimo possesso di armi, anche qui in Italia, un qualcosa che ci unisca tutti? Perché la legittima difesa e il legittimo possesso di armi non dovrebbero essere il nostro “II emendamento” dopotutto?