Articolo originale di Endrit Dhomi. Traduzione di Alessandro Sforza.

L’economia non è altro che lo scambio di beni e servizi tramite unità monetarie come l’euro o il
dollaro tra esseri umani.
Più transazioni ci sono, più l’economia è grande; meno transazioni, più l’economia si riduce. Ma quando i ministri introducono nuove leggi o tasse, limitano le transazioni e, di conseguenza, rallentano la crescita economica. In alcuni casi, possono addirittura distruggerla.

Lo fanno per tre motivi principali:

  1. Politico – “Ti prometto questo o quello, così sai per chi votare.” Si tratta di promesse fatte per
    ottenere sostegno elettorale, spesso senza considerare le conseguenze a lungo termine per
    l’economia.
  2. Ideologico – I ministri pensano o credono che una determinata politica sia migliore in base
    alle loro convinzioni personali o all’ideologia che rappresentano.
  3. Lobbying – Gruppi di interesse spingono per leggi che riducono la concorrenza o
    garantiscono appalti/contratti che forniscono loro benefici senza responsabilità o rischi
    finanziari.

    Divide et impera

    Il centro e la sinistra, come sempre, sostengono di voler introdurre politiche a favore dei diritti dei
    lavoratori. Tuttavia, questi diritti spesso portano a disoccupazione, chiusura di imprese, riduzione
    della concorrenza e potenziamento delle grandi aziende – o come possiamo definirle, “monopoli” nel settore privato, oppure oligarchie.

    Ogni azienda, grande o piccola, ha una riserva di cassa dove raccoglie i profitti. Questi profitti
    vengono usati per gestire l’attività – acquistare e vendere prodotti per ottenere guadagni, pagare i
    salari dei lavoratori, coprire le spese operative.
    L’obiettivo dei politici, in molti casi, è mettere le mani su questa riserva. Spesso lo fanno contrapponendo dirigenti e lavoratori, promuovendo una visione socialista utopica per ottenere voti
    tramite il populismo. Allo stesso tempo, usano il potere per approvare leggi o concedere contratti che favoriscono interessi particolari e tornano a loro vantaggio.

    Le politiche sui diritti dei lavoratori – tra cui salario minimo, parità di retribuzione (partendo dal presupposto che le donne siano pagate meno degli uomini, su cui torneremo più avanti), straordinari retribuiti, creazione di sindacati nel settore privato, pause nel weekend, giornate lavorative di 8 ore, ferie pagate, assicurazione sanitaria e pensioni – spesso hanno effetti come:

    Controllare le imprese, imponendo restrizioni e influenzando il loro funzionamento.
    Raccogliere voti tramite il populismo, rispondendo alle richieste dei lavoratori per ottenere
    – Distruggere la concorrenza, cosa che finisce per favorire gli interessi speciali e le grandi aziende, rendendo più difficile la sopravvivenza delle piccole e medie imprese.

    Anche se queste politiche sono presentate come tutele per i lavoratori, spesso generano effetti collaterali negativi che danneggiano l’economia e la concorrenza. Bisognerebbe sempre chiedersi: il datore di lavoro ha davvero i soldi per pagare tutti questi benefici? Nulla è gratis; qualcuno deve pagare, e il più delle volte è il lavoratore stesso a sostenerne il costo.

    Ecco come funziona:
    Il salario del lavoratore e i suoi benefici, così come lo stipendio del dirigente e le spese aziendali,
    provengono tutti dalle vendite di beni o servizi, che riempiono la riserva di cassa dell’azienda.
    Quando i politici impongono per legge la riduzione delle ore di lavoro o spese aggiuntive, non è il
    dirigente a perdere
    , ma la riserva di cassa dell’azienda – la fonte di tutti i pagamenti e operazioni.
    Più spese da questa riserva significano meno opportunità per investimenti, miglioramenti o persino
    stipendi.
    Le politiche sui diritti dei lavoratori portano spesso a disoccupazione e chiusura di imprese.
    La disoccupazione avviene perché, quando i politici aumentano salari e benefici, i dirigenti devono
    valutare se valga la pena mantenere un certo dipendente. Più un lavoratore è competente, più
    probabilità ha di conservare il posto. Al contrario, i nuovi assunti e i meno esperti rischiano il
    licenziamento perché il loro costo è diventato troppo elevato.

    In alcuni casi, i dirigenti perdono così tanto da dover licenziare personale, chiudere l’azienda e
    diventare a loro volta dipendenti. Più aziende falliscono, più la disoccupazione aumenta, perché non ci sono più posti dove andare a lavorare. Inoltre, quando la legge riduce le ore lavorative, i dirigenti spesso spingono i lavoratori a completare le stesse mansioni in meno tempo, poiché ci sono solo 160 ore al mese per generare abbastanza entrate da coprire salari, benefici e spese.

    Uguaglianza di genere nel luogo di lavoro

    Un altro tema è la parità salariale, che spesso si trasforma in un dilemma.
    Per esempio, un lavoratore di 40 anni con una famiglia dovrebbe essere pagato come un giovane di 21 anni senza responsabilità familiari? Le leggi sul salario minimo spesso alzano la paga dei lavoratori alle prime armi al livello di quelli esperti, generando ingiustizie e malcontento tra i colleghi.
    Questo influisce anche sull’occupazione femminile nel settore privato.
    Quando i socialdemocratici o i movimenti femministi impongono leggi sulla parità salariale, lo fanno
    spesso partendo dall’errata convinzione che le donne siano discriminate solo per il loro genere,
    quando in realtà la situazione è molto più complessa (basta guardare un grafico che mostra come, ad esempio, le donne costituiscano il 93,9% degli igienisti dentali negli Stati Uniti. Vogliamo dire che gli uomini sono discriminati in quel campo?)

    Ci sono molti motivi per cui le donne guadagnano mediamente meno degli uomini, e la maggior parte non ha nulla a che vedere con il patriarcato (forse il patriarcato ha un’influenza – ma soltanto in minima parte). I movimenti femministi confrontano la vita di uomini e donne senza considerare quanto differiscano, per natura, i loro percorsi.
    Se volessimo individuare l’ostacolo maggiore per le donne sul lavoro, sarebbe la gravidanza. Avere
    un figlio e crescerlo non è facile, e la maternità rappresenta spesso il più grande ostacolo per la
    carriera di una donna.

    Inoltre, molte donne hanno più responsabilità familiari, il che le porta ad assenze dal lavoro o
    impieghi part-time. I dipendenti full-time che non si assentano guadagnano, ovviamente, di più.
    Ma non è tutto: le donne tendono a scegliere lavori diversi rispetto agli uomini.
    Si nota un pattern: preferiscono professioni legate alla cura degli altri.
    Possiamo dunque concludere che una grande parte del divario retributivo tra uomini e donne si spiega con una combinazione di:

    – Potenziale gravidanza
    – Responsabilità familiari
    – Scelte professionali in settori orientati alla cura


    Queste differenze naturali spiegano meglio la disparità salariale rispetto alla discriminazione.
    Ma ecco cosa è importante sottolineare: assolutamente nulla di tutto ciò significa che le donne valgano meno degli uomini. Chi interpreta le posizioni finora espresse come un retaggio di questo modo di pensare, dovrebbe guardarsi allo specchio: è lui a voler creare divisioni tra i generi.

    Anzi, non esiste responsabilità più degna o nobile di crescere figli, occuparsi della casa e prendersi
    cura degli altri. Tornando al problema posto all’inizio dell’articolo, queste abilità non sono facilmente misurabili nel contesto della nostra definizione di economia, ovvero “lo scambio di beni e servizi tramite unità monetarie come l’euro o il dollaro tra esseri umani.”

    Come scriveva Ludwig von Mises in Human Action:

I valori che non sono riflessi in un rapporto monetario di scambio sono, proprio per questo, sollevati […] Nessuna lamentela è meno giustificata di quella che afferma che i metodi di calcolo del mercato non comprendono le cose non vendibili. I valori morali ed estetici non ne escono danneggiati.

In parole più semplici: mettiamo che tu sia cresciuto in una famiglia tradizionale. Tuo padre lavorava in ufficio dalle 9 alle 17 e portava lo stipendio a casa, mentre tua madre faceva la casalinga.
Da bambino, prima di capire cos’è un bilancio, chi dei due notavi di più? Tuo padre, che contribuiva con numeri sul conto bancario? O tua madre, che ti cucinava, ti consolava e si prendeva cura di te ogni giorno?

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